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Into the Wild, Sean Penn

Into the Wild, ultimo film di uno Sean Penn sempre più a suo agio anche come regista, è una pellicola estrema, militante, un film che può dividere ma anche entrarti dentro. Penn ha aspettato dieci anni per poter fare questo film tratto da un best seller di Jon Krakauer che è anche una storia vera, tutto per potere avere l’approvazione della famiglia di Chris McCandless, il protagonista di questo incredibile romanzo di formazione interpretato da uno straordinario Emile Hirsch, incredibilmente escluso dalle candidature per gli Oscar, e si vede che ci teneva davvero tanto. Il suo non è e non vuole essere un punto di vista obiettivo, Penn parteggia per il protagonista e per la sua ribellione anche ingenua, ma vera e vitale, e non ha vergogna a mostrarlo. Chris, ragazzo di grandi promesse e di buona famiglia, dopo una laurea conseguita con il massimo dei voti ha donato tutti i suoi risparmi in beneficenza, ha bruciato i soldi che gli rimanevano e da quel momento ha scelto di vivere on the road, alla ricerca di una felicità più grande, con in testa il sogno dell’avventura finale: l’Alaska. Una sfida da vivere in solitario, con la consapevolezza che potrebbe essere l’ultima pagina da scrivere nel romanzo di una vita.
Il film alterna la narrazione di Chris (ribattezzatosi Alex Supertramp) in Alaska, a partire dal magico ritrovamento di un autobus abbandonato chissà come in mezzo alla foresta, nel quale vivrà per i mesi successivi, a flashback della sua vita on the road, gli incontri con tanti personaggi che hanno segnato la sua vita e le quali vita lui ha segnato, le utopie, la discesa in kayak di un fiume dalle rapide fino al mare, le comunità hippy e così via. Tra questi forse il più importante incontro è l’ultimo, quello con l’artigiano del cuoio Ron (Hal Holbrook, lui si candidato agli Oscar), contatto tra due diverse stagioni della vita davvero toccante, e pregno di significati che vanno anche oltre le parole dette e non dette.
Il film, come già detto, non ha compromessi e può anche risultare spiazzante nel suo essere assoluto. Chris/Penn – e solo lui poteva fare un film del genere negli USA – arriva a negare “valori” come la famiglia e il consumo, sui quali tutta la società occidentale non può che basarsi, in nome di un ideale supremo forse anacronistico, in nome di un’utopia, e proprio per questo assume ancora più valore l’illuminazione finale di Chris, “La Felicità non è reale se non è condivisa”.
Tecnicamente il film è ottimo, con paesaggi meravigliosi e scelte di inquadrature perfette. La colonna sonora originale di Eddie Vedder è il perfetto contraltare di quanto vediamo in video e del messaggio del film, la sottolineatura ideale per un’estrema storia di ribellione che è comunque una “tipica” storia americana.

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