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The Good Girl (Arteta, 2002)

Jennifer Aniston appena reduce da Friends prova a fare un film in “stile Sundance” per dimostrare al mondo che sa fare più che un telefilm. Si potrebbe riassumere così “The Good Girl”, pellicola di Miguel Arteta (regista che ha lavorato soprattutto in tv) che riassume in un buonissimo cast, oltre alla Aniston, John C. Reilly e Jake Gillenhall. E’ la storia di una commessa di supermercato sposata da anni con un uomo noioso e infantile e che trova in un più giovane nuovo collega quella ventata di aria fresca che potrebbe dare una svolta alla sua vita. Peccato che questo giovane (Gillenhall) dica di se stesso di essere uno scrittore maledetto incompreso dal mondo, ma in realtà appaia a ben vedere più come un bambino capriccioso incapace di comprendere la realtà. Si mescoli a questa storia l’incapacità del marito (Reilly) di avere figli e il suo più caro amico che pare vivere con lui un’amicizia quasi morbosa ma guarda con una certa brama pure la moglie… cosa otteniamo? La commedia in stile Sundance, appunto. A mio modo di vedere questa definizione non è esattamente un complimento. Troppo spesso tali film si piccano di avere una provenienza indie ma in realtà vantano nel cast star di primo livello, ostentano intellettualismo e una recitazione minimale, narrano piccole storie che vogliono apparire fastidiosamente universali, insomma vanificano belle intuizioni con una certa vanagloria.

E’ questo il caso anche di The Good Girl? Quasi. Nel senso che la recitazione fin troppo piana e “costruita” viene facilmente a noia, ma nel film c’è qualche intuizione e qualche buon momento che salva la fruizione. Non un capolavoro, non un disastro… la classica via di mezzo per passare una serata di tutta tranquillità. Certo si poteva osare di più.

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