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Source Code (Duncan Jones, 2011)

Chi pensa (e sono tanti) che non si facciano più film di fantascienza decenti dovrebbe dare un’occhiata alle pellicole di Duncan Jones. Dopo il filosofico esistenzialista Moon il bimbo di David Bowie decuplica il budget ed arruola il lanciatissimo Jake Gyllenhaal e quella bella passerona senza puppe di Michelle Monaghan per un filmettino che, dietro una locandina che fa molto The Cube + Matrix + Bourne nasconde una bella storia di fantascienza con cuore e coglioni.
Colter Stevens (Gyllenhaal), un pilota di elicotteri dell’esercito americano, si risveglia dentro una specie di capsula spaziale umida e malfunzionante, senza ricordarsi come è finito lì. Il suo unico contatto col mondo esterno è uno schermo dal quale la Colonnello Goodwin (Vera Farmiga) gli chiede di entrare nel mondo virtuale del Source Code e di indagare sull’esplosione di un treno che ha provocato oltre un centinaio di morti. Stevens entrerà nel corpo di uno dei deceduti sfruttando la memoria residua della sua mente, ed avrà solo 8 minuti prima che il treno esploda, e lui sia costretto a ricominciare da capo.
ma senza marmotte
Nel Source Code Stevens si scontrerà con l’impossibilità di cambiare il passato, e troverà anche il tempo di innamorarsi della donna che si trova davanti quando apre gli occhi…
Abbiamo già il protagonista!
Source Code non è un capolavoro né un filmone che ricorderemo tra 20 anni, ma è una bella boccata d’aria fresca nello stantio panorama sf mainstream. Sfruttando un’idea piuttosto semplice e senza un budget esagerato Duncan Jones porta per la seconda volta a casa un bel risultato, un film che affronta argomenti difficili (la morte, il destino, gli universi paralleli) o ad elevato rischio banalità (l’innamoramento con la bella sconosciuta, il rapporto con il padre, lo stesso terrorismo) con personalità e maturità. A Duncan Jones manca probabilmente solo il colpo grosso, un vero blockbuster di classe per essere considerato uno dei registi su cui puntare per il futuro prossimo.

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