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Anvil – Hope in Hell

Gli Anvil mi stanno simpatici. E’ il classico gruppo di vecchi metallari un po’ sfigati che non vogliono accettare di non avercela fatta, e continuano a suonare da 30 anni la stessa musica in pub sempre più piccoli, sempre più scalcinati, per due panini e quattro birre, senza nemmeno le groupie che c’erano ai bei vecchi tempi. Il documentario (ottimo) “The Story of Anvil” ha aiutato a scongelarli e per un po’ ha persino fatto pensare che il trio capitanato da Steve “Lips” Kudlow potesse riscoprire un minimo di successo. Qualcosina, in effetti, è cambiato. Quantomeno gli Anvil hanno trovato un contratto discografico decente e una produzione accettabile per i loro dischi. Hanno anche provato a cambiare qualcosina (ina ina) nella loro musica con Juggernaut of Justice, disco niente male, poi un po’ di maretta nella line up, il bassista Glenn “Five” Gyorffy viene gentilmente invitato ad allontanarsi sostituito dal paisà Sal Italiano, e lo scorso anno è arrivato questo Hope in Hell, che avevo ascoltato distrattamente ma solo nelle ultime settimane ho piazzato sul lettore.
Anvil - Hope in hell
Quando si parla di gruppi storici la mia teoria è che dovrebbero andare in tour per nostalgici, fare le loro vecchie canzoni e poi a casa. Hanno capito tutto i Twisted Sister, hanno capito quasi tutto i Saxon, che dal vivo se va bene fanno un pezzo nuovo e poi sempre i soliti classici. Non so se hanno capito gli Anvil, dal vivo non li ho mai visti, ma Hope in  Hell è un disco che nulla aggiunge e nulla toglie alla loro carriera. Mid-tempo carini che restano in testa, riff rocciosi scopiazzati qua e la (clamoroso il plagio di Smoke on the Water in Through with You), la graffiante ugola di Lips ad accompagnare il tutto parlando dei soliti temi, il metal, le dichiarazioni più o meno bellicose, insomma proprio come ai tempi di Metal on Metal. Solo che sono passati 30 anni.
E’ bello mettere un disco ignorante sul lettore. E’ bello anche mettere sempre lo stesso disco sul lettore. Diventa meno bello quando hai la sensazione che il gruppo faccia il compitino, cagando anche qualche pezzo simpatico che resta in testa (Badass rock’n roll, a riprova della mia teoria che i pezzi che contengono la parola “rock” nel titolo spaccano sempre il culo, The Fight is Never Won) ma perso in un oceano di banalità. Di piattume.
Non è una bocciatura completa, intendiamoci, l’ascolto, alla fine, è anche piacevole. Ma resta la sensazione che probabilmente gli Anvil non hanno trovato il vero successo per tanti motivi… sfortuna, management inadeguato, inesperienza nella scelta dei contratti… ma forse, anzi quasi sicuramente, perché non erano niente di più che onesti artigiani del metallo, e la loro dimensione resterà per sempre quella.

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