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The Hateful Eight – Tarantino si fa in otto

The Hateful Eight poster

The Hateful Eight
di Quentin Tarantino
con Samuel L.Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh
IMDB

The Hateful Eight poster

Domenica sera ho finalmente visto The Hateful Eight, l’ottavo film di Quentin Tarantino ed uno degli eventi cinematografici più attesi di quest’anno. Ero stanco, avevo mal di testa, il film è decisamente lungo ed ha una prima parte piuttosto lenta, quando sono uscito dal cinema ero piuttosto soddisfatto, ma non completamente convinto. Poi, nei giorni successivi, ho ripensato molto al film.

E’ raro che una pellicola mi colpisca a tal punto da farmi riflettere per giorni sul suo valore. Non è successo con The Revenant, Creed o  La Grande Scommessa, è successo ad esempio con Room, per nominare quelli che secondo me sono finora i migliori film dell’anno. Ho ripensato molto alle scene del film, alla loro costruzione, ai personaggi, all’uso degli ambienti, ai piccoli dettagli disseminati qua e la, e nella mia mente il film è cresciuto. E ora vi spiegherò il perché, in otto capitoli. Brevi, ve lo prometto. Non ci metterete tre ore.

Capitolo uno: Tarantino e il cinema

Quentin Tarantino è un uomo malato di cinema, un maniaco della settima arte, sappiamo fin dai tempi dei suoi esordi delle sue ossessioni e dei suoi omaggi. The Hateful Eight è un omaggio al cinema, inteso anche proprio come luogo. Sono contento di avere aspettato e non averlo visto in streaming, perché non esiste negli ultimi anni un altro film che, come questo, andava visto necessariamente al cinema. Purtroppo non ho avuto occasione di vederlo nel formato originale in Ultra Panavision 70, ma anche con lo schermo normale era evidente che in televisione non sarebbe stata la stessa cosa, nemmeno con uno schermo di ultimissima generazione di 80 pollici. La ricerca del formato a dir poco particolare, la richiesta di un’introduzione musicale e di un intervallo di quindici minuti che ha fatto impazzire gli esercenti, queste cose non sono un caso. Tarantino ama il cinema e vuole che noi andiamo al cinema. Non come…

Capitolo due: Tarantino vs. Iñárritu

In una recente intervista quel simpaticone di Alejandro González Iñárritu ha dichiarato che il suo The Revenant andrebbe guardato in un tempio, come una esperienza mistica, personale, perfetta. E si è incazzato quando hanno definito il suo film “un western”. The Revenant per lui non è un western, è un esperienza mistica, lui odia i film di genere in quanto “generici”, dimostrando di non averci capito una sega, ma transeamus. Iñárritu fa i suoi film per l’arte, e se non avesse quel cazzo di talento enorme che ha sarebbe uno di quelli da prendere a ceffoni da qui film al Messico. Tarantino fa i suoi film per il pubblico, per se stesso, ma soprattutto sembra uno di queli che fanno cinema perché amano il cinema, ne sono proprio entusiasti. E non è un caso che Tarantino ADORI i film di generi, quelli il più possibile popolari…

Capitolo tre: The Hateful Eight è un western?

Non è un caso che The Hateful Eight, proprio come Django Unchained, sia un western. Il western è il genere americano per eccellenza ma è anche trasceso, è stato abbracciato da messicani ed australiani e stravolto, usato, reso spesso immortale da registi italiani. Western sono stati girati in Spagna, Nuova Zelanda, Sudafrica, Argentina, Russia… ovunque! The Hateful Eight contiene moltissimi dei topoi del genere, si può dire che manchino solo gli indiani e una rapina al treno. Le immagini della diligenza per Red Rock che si muove al rallentatore nella neve, accompagnata dalla colonna sonora di Sergio Leone, sono di una bellezza straziante. Lo sguardo di Samuel L. Jackson, la risata sguaiata di Jennifer Jason Leigh e le sue canzoni, le schermaglie tra veterani yankee e confederati, il rispetto che nasce tra quelli che sembrerebbero nemici naturali, lo stufato che si serve all’emporio, la multietnicità che si riunisce in una singola stanza e i baffi di Kurt Russell sono puro western.

Capitolo quattro: The Hateful Eight non è un western

Non è un caso che The Hateful Eight, proprio come Django Unchained, non sia un western. Il western è stato usato moltissimo, anche e soprattutto dagli italiani, come non-genere, all’interno del quale raccontare miti classici, storie bibliche, riletture shakespeariane, favole politiche, horror e gialli. Dalla colonna sonora di Morricone ci si aspettava una copia spudorata di quelle scritte per Sergio Leone, ma basta la prima scena per capire che qui siamo su coordinate diverse, completamente diverse. The Hateful Eight è stato paragonato a La Cosa di Carpenter, e la colonna sonora è quasi sovrapponibile. The Hateful Eight è un giallo in una stanza chiusa, un meccanismo alla Dieci Piccoli Indiani dove ogni inquadratura nasconde un segreto e verrà usata più tardi all’interno della storia (la caramella!), dove ogni dialogo conta, dove prestare attenzione ad ogni parola.

Capitolo cinque: allarga lo schermo!

La scelta di usare questo formato totalmente inconsueto, larghissimo, che ha richiesto speciali accorgimenti, può sembrare un controsenso in un film ambientato in gran parte dentro una stanza chiusa. Le immagini in esterno, la neve, le montagne, la diligenza sono bellissime e rese ancor più vere ed incredibili dal tremolio che si percepisce nella pellicola. Sono poesia, almeno quanto le inquadrature perfette di The Revenant. Ma nell’emporio? Si percepisce la fatica dei tecnici nel girare così, ma il risultato qual è? A prima vista è difficile dirlo, poi ce se ne rende conto, l’avevo notato in alcune scene poi ci ho ripensato rendendomene conto ancor più leggendo la recensione de I 400 Calci: nell’emporio succede sempre qualcosa. L’attenzione è spesso rivolta su uno o due personaggi alla volte, ma sullo sfondo gli altri sono fermi o si muovono, parlano tra loro o si versano il caffè, complottano, meditano, camminano, mangiano. L’occhio fa fatica a seguire tutto, visto quanto lo schermo è vasto, ma tutto conta. Riguarderei volentieri il film anche solo per concentrarmi sui lati dell’inquadratura, verso quegli angoli ai quali di solito non si presta attenzione, chissà, potrei trovarci indizi ignorati o storie totalmente nuove, di cui non mi ero neppure accorto. In un giallo come questo, la scelta è vincente.

Capitolo sei: viuuuuulenza

Il volto sempre più tumefatto di Jennifer Jason Leigh, a cui vengono spezzati i denti, rotto il naso, ricoperta di vomito, di sangue, legata, picchiata, senza mai perdere il ghigno satanico e beffardo che la contraddistingue è un film nel film. La violenza esagerata di The Hateful Eight (non solo contro le donne) ha dato fastidio a qualcuno, ma fa tutto parte del gioco. E’ il genere, è l’exploitation, è il tocco tarantiniano. Ci sono momenti di razzismo, si, e allora? C’è una donna maltrattata, si, e allora? Ci sono le teste che esplodono. E’ sempre Tarantino, che ce lo ricorda: siamo al cinema, non è reale. Come ci ha dimostrato col finale di Bastardi Senza Gloria, il suo cinema può essere sia meglio che peggio della vita vera, ma resta comunque finzione.

Capitolo sette: gli odiosi otto

Kurt Russell è John Ruth, il boia. Un cacciatore di taglie con il vezzo di non uccidere le proprie prede, ma di catturarle vive per poi guardare mentre vengono impiccate. I suoi baffi valgono già mezzo film. Ruolo perfetto.
Samuel L. Jackson è Marquis Warren. Un ex maggiore dell’esercito degli stati dell’Unione, eroe di guerra, riciclatosi cacciatore di taglie. Porta con sé una lettera di Abramo Lincoln, con il quale, sostiene, ha intrattenuto per molto tempo una amichevole corrispondenza. Senza il suo volto The Hateful Eight non sarebbe potuto esistere.
Jennifer Jason Leigh e Daisy Domergue. La prigioniera, ricercata per omicidio, ha una taglia di diecimila dollari sulla testa. Nonostante vada verso la forca e venga menata a più riprese non abbandona la sua fiducia ed il suo ghigno diabolico. Spettacolare.
Walton Goggins è Chris Mannix. Il futuro sceriffo (così dice lui) di Red Rock viene dal sud, suo padre era il leader di una squadra di irriducibili confederati che non si è arresa alla vittoria dell’Unione. Le sue visioni politiche lo mettono decisamente in contrasto con Warren… Conoscevo ovviamente già Walton Goggins e sapevo quanto fosse bravo. Per il grande (grandissimo?) pubblico è lui la vera rivelazione.
Bruce Dern è il Generale Sanford Smithers. Ex generale dell’esercito confederato, siede silenzioso sulla sua sedia… è nel Wyoming sulle tracce del figlio, scomparso qualche tempo prima e forse morto. Che fine avrà fatto?
Tim Roth è Oswaldo Mobray. Il futuro boia (così dice lui) di Red Rock viene dall’Inghilterra, sorride sempre sornione e sembra accomodante… Gioca un po’ a fare Christoph Waltz, non vi pare?
Michael Madsen è Joe Gage. Silenzioso scrive nel suo taccuino la storia della sua vita (così dice lui!). Pare volersi tenere lontano dalle beghe di tutti e desidera solo arrivare da sua madre, con la quale vorrebbe passare il Natale…
Demian Bichir è Bob. Il messicano ha ricevuto (così dice lui!) da Minnie l’incarico di badare all’emporio mentre lui è assente. Il suo caffè è imbevibile, il suo stufato invece assomiglia decisamente molto a quello che ha sempre preparato Minnie…

Capitolo otto: si, ma allora?

Il film è bello. Ha molti difetti, può risultare noioso, interminabile, verboso, banale nella risoluzione dell’enigma, troppo violento… ma da ogni sua scena traspare tutto l’amore di Tarantino per il cinema, forse più che in ogni altro suo film. Ci sono delle sbrodolate, non è il suo film migliore. Quello è Django Unchained. O Bastardi Senza Gloria, decidete voi. Non è sorprendente come Le Iene o d’impatto come Pulp Fiction. Ma cazzo se è bello.

Voto: **** 1/2

E secondo me…

SPOILER

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la lettera di Abramo Lincoln è vera.

11 thoughts on “The Hateful Eight – Tarantino si fa in otto”

  1. Concordo. La lettera c’è!!!! E Lincoln è l’unico di cui si possa parlare in senso positivo in questa storia dove (proprio come in 10 PICCOLI INDIANI) il più pulito ci ha la rogna

  2. Mancano gli indiani è vero, ma c’è un messicano. Si apprezza principalmente per la trama gialla, e gli indizi disseminati nello svolgere della storia più vicina direi alla Trappola per topi della Christie, mettendo lo spettatore nella condizione di continuare a vedere come va a finire. Ottimo articolo.

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