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LoSpo’s Corner: Black Mirror

Black Mirror

Cosa succede quando uno sceneggiatore dalla scrittura un po’ particolare come Charlie Brooker si avvicina a tematiche come “l’impatto della tecnologia nella vita reale”? Ne viene fuori qualcosa di assurdo, bellissimo e drammatico insieme. Se vi manca è una di quelle lacune che dovreste colmare prima della fine della giornata, Black Mirror sposta un passettino più in alto l’asticella della fantascienza plausibile.

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Ma cos’è che rende particolare Brooker? L’essere, fondamentalmente, un nerd. Comincia la sua carriera scrivendo per una rivista di videogiochi, fino ad esserne allontanato per aver pubblicato una striscia dove bambini entravano in uno zoo per sfogare i loro istinti violenti. Cioè pubblicava negli anni novanta bambini armati di martello che rompevano crani di scimmia: secondo lui quello era un buon metodo per criticare la troppa violenza contro gli animali in Tomb Raider. Non solo bambini violenti, anche schierarsi apertamente contro Eidos al tempo non doveva essere particolarmente popolare, specie se il tuo lavoro era campare di videogiochi. Altra striscia importante in quegli anni di PC-Mag era quella dove insultava apertamente le lettere che arrivavano in redazione, previo cospicue 50£ di premio.

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Basterebbe questo per capire quanto sia fuori dagli schemi il suo modo di pensare, quanto fosse apertamente troppo facile per lui andare oltre quella riga immaginaria del “buon senso” televisivo, ma le sue idee sono folli quanto geniali ed arriva il primo prodotto seriamente pensato per la televisione: Dead Set. Un’epidemia zombie sta flagellando tutto il mondo e gli unici che non ne sanno niente (nella loro totale ignoranza) sono i concorrenti del grande fratello. La serie funziona, 5 puntate vengono acclamate dalla critica e pubblico, fino alla nomination ai BAFTA.

A questo punto Brooker capisce di avere la scintilla, quel guizzo creativo che gli permette di raccontare storie mai banali e decide di mettere a punto la svolta: Black Mirror, una serie di tre puntate da un’ora per Channel4, una delle tre televisioni dominanti in Inghilterra. Con una media di 1.5M di spettatori a puntata, con un picco di oltre 2M per la prima puntata la serie è un successo, prima in televisione e poi sullo streaming. I mondi distopici foderati di altissima tecnologia creati da Brooker servono per raccontare storie, è sempre il sentimento in primo piano e la prima serie non indugia mai parlando sempre delle difficoltà dei suoi protagonisti: cominciando dal fare la cosa sbagliata per il motivo giusto fino a chiedersi quanto si conosce davvero il proprio patner.

Black Mirror

Episodi slegati e autoconclusivi, un ritmo serrato, una regia competente e degli attori che sono spesso al di sopra delle aspettative hanno fatto si che una seconda serie fosse commissionata a tempo di record. Viene anche realizzata a tempo di record e non solo, la sceneggiatura gioca ancora al rialzo: c’è sempre la distopia tecnologica che funziona come un tessuto che tiene insieme storie e personaggi (questa volta ancora di più, se possibile, in secondo piano) ma le trame sono più complesse, più costruite. Questa volta c’è il tentativo di ingannare la morte, l’espiazione della pena e la pressione mediatica. Tutto svolto sempre entro un’ora e ogni tanto viene da chiedersi come ha fatto a mettere così tanto in cosi poco spazio.

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Brooker è uno sceneggiatore moderno, di quelli che sanno dosare bene la calma e il ritmo, mettendo sempre lo spettatore al centro della scena. Per i temi trattati, la realtà futuristica quanto plausibile, l’inadeguatezza dei sentimenti rispetto alla tecnologia, sembra un nuovo Philip Dick, un Dick diverso, certo, più moderno e adattato al mezzo televisivo. Il suo fare è inglese, sotto ogni profilo, dai colori degli attori fino allo skyline di una Londra che accoglie, racconta e amplifica ogni particolare. La terza stagione di Black Mirror sarà inglobata dal gigante dello streaming Netflix che ha già promesso un budget maggiore e totale controllo creativo a Brooker. Le carte in tavola per una mano memorabile ci sono tutte, adesso non resta che aspettare e nel frattempo guardare qualcos’altro.

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Perché dovreste vederlo? Dovreste soprattutto perché ogni puntata sembra un racconto di Dick e non so se possa esistere un complimento più grande di questo per un’opera.

Perché non dovreste vederlo? Davvero, non saprei… forse se siete in una fase della vostra vita in cui non vi pace niente… No, davvero, questa va solo vista.

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