Lo sapete, no, che nutro un solenne disprezzo per la moderna commedia all’italiana? Sono cresciuto (nonostante io sia GIOVANISSIMO!!!) con i film di Monicelli, Risi, Steno, Scola, Salce, Germi e chi più ne ha più ne metta, ma ormai da molti anni chi fa cinema italiano di questo tipo sembra essersi adagiato sugli allori, accontentandosi di un modesto successo locale e senza cercare di capire cosa davvero ha fatto grandi questi autori. Un’altra tendenza della commedia italiana che aborro è l’uso delle canzoni di successo ad accompagnare la storia. Finché la cosa era fatta saltuariamente, da Sapore di Sale a oggi, poteva andare anche bene, ma da Notte prima degli esami a oggi tutti o quasi i film in uscita hanno una canzone come stucchevole filo conduttore, spesso anche nel titolo.
Ecco, La Pazza Gioia è una commedia italiana e un film con una canzone che ricorre spesso a fare da filo conduttore, ovvero Senza Fine di Gino Paoli, ma nonostante questo mi è piaciuto lo stesso. Il film è uscito ormai da molto tempo, ma mi sembrava giusto scrivere almeno brevemente le mie impressioni.
Il fatto è che mentre molti aspiranti (o affermati) registi non riescono a smettere di guardarsi l’ombelico, Paolo Virzì fa commedia non imitando la forma del cinema italiano classico, ma prendendone lo spirito. È dai tempi dell’ormai lontanissimo La Bella Vita che Virzì ci racconta piccoli spaccati di quotidianità che diventano storie universali, e i suoi film (con un paio di piccole eccezioni, di sicuro N – Io e Napoleone ma anche Tutti i Santi Giorni) continuano a divertire me e il pubblico italiano.
Sarà che Virzì è proprio bravo?
La Pazza Gioia non è il migliore dei suoi film, soprattutto perché quando prova a farci piangere non è centratissimo come altri suoi vecchi lavori, ma i momenti di commedia sono davvero divertenti, e nel complesso si piazza bene in questo 2016 di apparente rinascita del cinema italiano. Deve molto a Valeria Bruni Tedeschi, sorprendente protagonista senza freni nei panni dell’aristocratica matta Beatrice Morandini Valdirana, e a Micaela Ramazzotti, la giovane e tatuatissima Donatella Morelli. Le due attrici sono splendide e credibilissime anche e soprattutto quando esagerano, si vede che il film parte dall’osservazione di vere malattie mentali e rimane sempre sul filo sottile che separa il filmabile dall’assurdo. La loro è una storia di fuga, di illusioni difficili a morire e di lenta realizzazione della realtà, che porta a un percorso di crescita forse insperata. Meno a loro agio (forse un po’ didascalici) gli attori che hanno interpretato dottori ed infermieri, in un modello di accoglienza e cura che appare semplicistico.
Ma averne, come Virzì 🙂
Voto: ***
Raramente una commedia italiana ‘seria’ riesce a conquistare come questa di Virzì, affrontando un argomento non facile, merito anche delle brave protagoniste. 🙂