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Le interviste possibili del Cumbrugliume: Lucius Etruscus!

L'etrusco uccide ancora

Blogger, scrittore, bibliofilo, ricercatore appassionato e curioso, eclettico, super prolifico, Lucius Etruscus è una persona con la quale da tempo volevo fare una chiacchierata. Apprezzo il suo lavoro quasi quotidiano sui tanti blog in cui scrive e da qualche tempo ho scoperto anche i suoi racconti, saggi e romanzi, dei quali trovate una lista qui. Ho già recensito qualche tempo fa il suo La Notte dei Risorti Viventi, e presto vi parlerò anche dei suoi seguiti e del Romanzo di Marlowe. In attesa di poterci scambiare qualche chiacchiera di persona, magari davanti a una birra, ho approfittato della moderna invenzione dell’email per porgli qualche domandina… che ne dite, volete leggere?

Cumbrugliume – Ciao Lucio! Grazie per la disponibilità a sottoporti a questo fuoco di fila di domande. La prima che voglio porti è quella più immediata… Chi è Lucius Etruscus, e perché questo nome? Quando l’ho letto per la prima volta ho pensato a L’Etrusco uccide ancora, il film degli anni 70 con i delitti ispirati agli affreschi di una tomba etrusca, ma andando un po’ più ai fondo nei tuoi blog mi è venuto da pensare che ci sia sotto qualcos’altro…

L'etrusco uccide ancora

Lucius – Sono nato e cresciuto a Roma ma quando la vita mi ha portato in terra etrusca, agli inizi del Duemila, ho trovato divertente iscrivermi a quel curioso nuovo servizio – una certa GMail – con un nome più… “etrusco”. Visto poi che a parte i miei genitori nessuno mi ha mai chiamato Lucio, e che una delle recenti storpiature del mio nome era Lucius – non so perché – per un gioco di “rime” ho adottato il nickname Lucius Etruscus. (Ogni tanto un mio amico adotta la formula Luco, che è il figlio del Lorenzo di Guzzanti, ma per fortuna è un raro caso isolato!)
La prima cosa che ho fatto quando sono andato a vivere in provincia di Roma è stata quella di visitare la Necropoli della Banditaccia, e solo dopo ho visto “L’etrusco uccide ancora” (1972) di Crispino, che è stato girato lì: il film è scritto da uno sceneggiatore di nome Lucio, quindi è destino che il mio nome vi debba rimanere legato. Inoltre siamo quasi coetanei, visto che io sono del 1974.
Malgrado l’aura di mistero che qualsiasi entità “etrusca” possa far immaginare, la mia passione è al contrario anti-misterica: mi piace la ricerca e trovo infinitamente più affascinante la spiegazione razionale di un mistero (per quanto riduttiva possa essere) piuttosto che il mistero in sé. Sono un essere umano, quindi avverto potente la magia di un evento misterioso, ma poi adoro studiare l’evento e magari scoprire che in fondo tanto misterioso non è. Unendo a questo la mia passione per i libri, è nata quasi spontanea la mania di trattare di “libri del mistero” con occhio disincantato e grettamente materialistico.
Sono poi molte altre le mie passioni, e gli otto miei blog (in gran parte quotidiani), le due webzine a cui partecipo e le infinite mie altre collaborazioni dimostrano quanto io abbia fatto “voto di vastità”, per dirla come Bergonzoni.

C – Hai fatto riferimento ai tuoi 8 blog, ti va di presentarli? E più in generale: perché dedicare così tanto tempo al blogging in un momento in cui secondo quasi tutti i blog sono in via di estinzione, cannibalizzati dai social media?

L – E’ nella mia natura arrivare per ultimo: forse perché a livello inconscio aspetto che i “pionieri” testino i nuovi prodotti prima di usarli io. (L’unica tecnologia in cui invece sono stato ai primi posti è l’eBook: leggo libri in digitale dal 1999, quando la Garzanti portò in edicola i propri classici digitalizzati ma anche quando scoprii il Project Gutenberg.)
Non ho mai frequentato il mondo dei blog, di cui sentivo parlare per sommi capi senza avere bene chiaro in mente cosa fosse. Dopo la chiusura della mia esperienza di wikipediano – all’epoca in cui sulla prima pagina campeggiava ancora la citazione adamsiana “Non lasciatevi prendere dal panico” – sono stato molto poco “social”, prima di entrare nei social: facevo cioè ricerche e seguivo le mie passioni in una modalità che oggi sembra impossibile. In “standalone”, cioè per conto mio.
I social sono generici ed è difficile trovare qualcuno con cui condividere le proprie passioni. Dagli Yahoo! Groups ai Google Gruppi, dai forum a facebook, da twitter a google+: tutti ambienti buoni per litigare e per polemizzare, ma insoddisfacenti per condividere le proprie passioni. Può capitare, ma non è la regola. Quando nel 2010 sono entrato in ThrillerMagazine – prima come inserzionista poi come vice-curatore – ho sentito di aver trovato finalmente una mia strada, cioè un posto pubblico dove riversare tutta la mia passione per condividerla anche con chi non mi conosceva.
Ho scritto qualcosa come duemila articoli in quattro anni, fra presentazioni librarie, recensioni filmiche, speciali, approfondimenti, ricerche, “indagini” e ogni possibile tipo di articolo si possa scrivere su film e libri. Finché non mi sono reso conto che non mi leggeva davvero nessuno, che non c’era il minimo dialogo né condivisione: era come se parlassi al muro in una stanza vuota. Davvero pochina come soddisfazione.
Quando nel 2014, dopo anni di tentennamenti, ho deciso di provare anch’io a diventare autore auto-pubblicato, tutti i “manuali” in rete davano lo stesso identico consiglio: il modo migilore per vendere è farsi conoscere, e l’unico modo per farsi conoscere è aprire un blog. Avrei avuto tempo di scoprire che è solo uno dei tanti consigli farlocchi della Rete, privo di qualsiasi fondamento, ma all’epoca la trovai un’idea irresistibile.
L’anno prima avevo aperto quasi per gioco “NonQuelMarlowe” in omaggio al protagonista dei miei racconti che dal 2010 erano apparsi su ThrillerMagazine, ma non sapevo che dire: come fare a farlo diventare un intrigante personaggio seriale? Ovviamente non lo sapevo, e a parte scrivere note sulla genesi di alcuni racconti non facevo altro.
Avevo anche un blog marziale – “Senza esclusione di colpi“, ormai defunto – su HotMag perché all’epoca lo scrittore Stefano Di Marino (Stephen Gunn) aprì il blog del suo Professionista e invitò tanti amici e conoscenti a partecipare ad un grande circuito di blog, che poi implose (non ho mai capito perché). Malgrado sia un accanito fan di cinema marziale sin dalla mia nascita, non riuscivo a trovare un ritmo e quel blog in realtà non è mai decollato.
Aprii “Gli Archivi di Uruk” per riversare tutta la mia passione per la catalogazione, per le liste e le informazioni che sono totalmente assenti nella Rete italiana. Ancora oggi, ad anni di distanza, ogni giorno catalogo un libro e sforno quegli elenchi completi che all’epoca Wikipedia mi rigettava (perché è meglio offrire la mediocrità al lettore medio).
Uruk non è un blog “colloquiale” bensì un database, in moltissimi casi l’unico esistente in Italia per completezza delle informazioni: detta così sembra chissà che traguardo, in realtà nel nostro Paese basta specificare il titolo originale di un romanzo per sbaragliare il 99% dei siti esistenti…
Erano tutti esperimenti singoli, ma quel 2014 (era maggio, se non ricordo male) fui preso da raptus.
Aprii “Myniature“, un blog che per i primi due anni ogni giorno – domeniche comprese – ha presentato un oggetto dell’infinita collezione di miniature, pupazzetti ed action figures che ho in casa. (Per intenderci, ho “schedato” i quasi 50 personaggi dei Masters of the Universe che ancora conservo!)
Ma il vero primo vagito della mia new wave è stato “Fumetti Etruschi“, in cui potevo finalmente raccontare le mie letture e i fumetti in lingua originale che amavo leggere, iniziando a trattare la rubrica che ovviamente è campione di visite del blog: “Fumetti erotici”.
Poi aprii il “CitaScacchi” come vetrina per il sito che da anni e anni aggiorno, con più di 500 citazioni scacchistiche da tutti i media, con filmatini se si tratta di film.
Poi “Italian Pulp Movie Posters“, pencolante titolo inglese per un blog in cui ogni giorno presento una locandina italiana d’annata apparsa sui giornali.
Decisi di recuperare un progetto un po’ rozzo apparso su HotMag e aprii il mio Zinefilo, un blog all’inizio dedicato esclusivamente al cinema di serie Z, per lasciare traccia delle bojate uscite in lingua italiana – e sono più di quanto si pensi – ma poi allargato a dismisura, perché la pessima qualità non è eslcusiva della Z! L’ultimo arrivato è “30 anni di Aliens“, blog dedicato all’universo alieno – in massima parte inedito e sconosciuto in Italia – aperto proprio il mese in cui il film di Cameron ha festeggiato i trent’anni di vita.
Questa frenesia mi ha permesso di unire la mia cocente passione per le ricerche e per le “indagini” nei rami più disparati, le mie tante passioni e la voglia di condividerle con uno strumento che rende la comunicazione in un formato perfetto. Su ThrillerMagazine era quasi impossibile lasciare commenti, su facebook e i social forum è troppo facile lasciarne – quasi sempre delle offese e polemiche sterili – mentre WordPress fa la giusta scrematura. Lo stupido che vuole attaccare briga di solito non ha voglia di aprirsi un profilo WP solo per lasciarti un commento idiota, così ho scoperto che nel corso di tre anni si è formato un bel gruppo di “seguaci” con cui è un piacere dialogare, e da cui mi piace lasciarmi contagiare. (Molte idee e cicli di post sono nati da loro consigli, che è proprio il tipo di interazione che cercavo e che neanche i social sono in grado di dare.)
Ovviamente tutto questo va unito al fatto che alla mia attività di scrittura corrisponde anche quella di lettura. Ogni giorno passo da blog che mi piacciono e stimo e cerco di partecipare il più possibile: non perché lo senta come un obbligo o un “vantaggio politico”, ma perché i blog che frequento mi intrigano e sapere che posso partecipare mi dà una carica in più. Sapere che posso chiedere spiegazioni o posso partecipare ad un discorso che sta portando avanti il blogger è qualcosa che mi appassiona: ne sanno qualcosa Obsidian Mirror e Ivano Landi, perché spesso e volentieri vado a riempire di sproloqui i loro post! Da altri blogger, tipo Cassidy della Bara Volante, è un piacere commentare in modo anche dissacrante.
Della morte dei blog se ne parla da anni, così come della morte di facebook quando è nato twitter, e della morte di questo quando è nato quello. Da quando ho iniziato ho visto fioccare blog come se piovesse, quindi la voglia di comunicare c’è e c’è la voglia di farlo tramite contenuti, non mdiante del semplice cazzeggio. A me sembra che il mondo dei blog stia benissimo: forse i problemi se li fanno solo i blogger…

Il Zinefilo Lucius Etruscus

C – La tua risposta mi fa venire in mente l’orda di aspiranti blogger che si riversarono nella rete qualche anno fa, quando si sparse la voce che curare un blog poteva divenire una professione e addirittura fare arricchire, e che piano piano hanno tutti abbandonato. Riaprire vecchi link di blogger è come visitare un cimitero di morti fermi in un periodo compreso tra il 2012 e il 2014. Oggi ho la sensazione che ci sia una sorta di risveglio: meno quantità, ma più qualità e specializzazione. Alcuni (te compreso!) stanno offrendo a un mondo di lettori un vero tesoro di conoscenze che rischierebbero di scomparire, con il progressivo abbandonare di riviste cartacee, biblioteche e via dicendo. Frequentando più o meno giornalmente mi sembra evidente che tu non creda (e non abbia mai creduto) nell’idea dei blogger “a scopo di lucro”… e allora la domanda è d’obbligo: come fai a scrivere così tanto e sempre in maniera così precisa? Perfetta organizzazione del lavoro, insonnia cronica, disturbo ossessivo compulsivo della personalità o hai inventato le giornate di 36 ore? 😀

L – Nessuna delle tre cose, anche se non nascondo che il mio sogno sarebbe di ridurre le ore di sonno: qualche volta ci ho provato, con effetti devastanti.
L’unico mio “segreto” è avere una vita sociale molto insoddisfacente. Tutte le persone “fisiche” che mi circondano vantano una sorprendente mancanza di qualsivoglia passione, e ogni giorno ripetono ciò che hanno detto il giorno precedente, nello stesso ordine. Sono di Roma, poi, quindi l’unica religione, l’unico argomento, l’unica fede e l’unico interesse è per “la maggica” Roma. A seguire vengono i reality e la cucina, o i reality di cucina. Per ultimo un paio di serie televisive del momento. Ecco, disinteressandomi io totalmente a questi argomenti, mi ritrovo un bacino di tempo invidiabile!
A questo va unito il fatto che trovo insoddisfacenti e spesso frustranti i rapporti umani “fisici”, sentendo così quotidianamente il bisogno di qualcosa di più. Una volta c’erano i social a darmi soddisfazione, quando – in tempi molto lontani – si poteva discutere amabilmente in una cerchia di amici che si erano scelti. (Bei tempi.) Vista la brutta morte dei social, dove la gente passa la sua intera vita a creare polemiche e a insultare chiunque, ho ancora più tempo a disposizione.
Per finire, è innegabile che mi sarebbe impossibile gestire i miei blog solamente da casa: grazie al mio inseparabile smartphone posso lavorare in modo soddisfacente ovunque, ottimizzando i tempi. Ecco, questo secondo me è il mio “segreto” (fra mille virgolette): ottimizzare i tempi. Posso stare in fila alla posta o in mille altri posti: mi basta tirare fuori lo smartphone e posso gestire tutto ciò che voglio.
La questione dei soldi vale per tutto. Ricordo i primi tempi di Internet, quando prese piede e cominciarono a girare storie (chissà poi quanto fossero vere) di gente che ci aveva fatto i soldi. Ricordo che amici e parenti mi chiedevano: ma come si fa a fare soldi su internet? Non ho mai capito perché lo chiedessero a me, che non ho mai guadagnato una sola lira/euro dalla rete!
Ci fu poi l’esplosione dei banner a pagamento, ADSense e via dicendo, con storie di siti che guadagnavano cifre favolose. Credo fossero i primi anni del Duemila quando ho voluto provarci anch’io, scoprendo così che qualsiasi guadagno era puramente ipotetico: dovevi avere un sito dalle visualizzazioni mostruose per vedere qualche spicciolo, e non era il mio caso. (All’epoca avevo un sito di recensioni di film d’autore! Sono passato dalla A alla Z!)
Il soldi piacciono a me come piacciono a tutti, ma poi c’è la voglia di divertirsi e la voglia di curiosare e la voglia di condividere e la voglia di partecipare. (Adoro le elencazioni con la “e”, malgrado la lingua italiana le impedisca: ogni tanto mi piace forzarla!)
Prima su ThrillerMagazine poi sui miei blog, ho provato più volte a chiedere collaborazioni e ad invitare persone, amici conosciuti magari sui social di cui apprezzavo la scrittura o la professionalità in vari campi. La risposta era sempre la stessa: gratis no. La cosa curiosa è che quando ho invitato veri professionisti, cioè persone che da decenni vivono scrivendo, questi hanno subito accettato e sono stati disponibilissimi; quando ho invitato signori nessuno, solo perché mi piaceva come scrivevano o quello che dicevano, ecco che non se ne è fatto niente perché non c’erano soldi in ballo.
Sono lontani i tempi delle riviste cartacee – tutte fallite concettualmente perché non esistono più i loro lettori, ma tutte rimaste nel limbo del digitale per continuare comunque a prendere soldi dallo Stato – sono lontani i tempi in cui chi scriveva sognava di vendere racconti o testi a questa o quella testata: più si fa lontana questa idea, più la si continua a sognare. Già quando scrivevo racconti a 14 anni mi rendevo conto che non esistavano “riviste di racconti” a cui provare ad inviarli. E la situazione negli anni successivi è peggiorata.
L’idea di vendere la propria scrittura temo sia un dolce sogno lontano, rimane da vendere spazi pubblicitari nei propri siti, ma solo i “big” riescono a tirarci fuori dei soldi, da questo.
Insomma, se dovessi guadagnare da ciò che faccio vorrebbe dire smettere di fare qualsiasi cosa. Se dovessi vendere ciò che scrivo significherebbe non scrivere più. Visto che in silenzio ci sto tutti i giorni della mia vita “fisica”, preferisco sfogarmi “a gratis”. Potrei dire che posso permettermi il lusso di farlo perché ho la fortuna di avere un impiego, ma sarebbe una falsa risposta: se io fossi disoccupato lo stesso non guadagnerei un soldo dalla rete – come ha scoperto chiunque ci abbia provato in questi anni – quindi in ogni caso preferirei scrivere che rimanere in silenzio.

Inchiostro

Io sognavo di pubblicare i miei racconti su Inchiostro, che compravo alla Feltrinelli di Firenze…

C – Ti faccio i complimenti per l’organizzazione, io non ci riesco mai. Soprattutto scrivere da telefono o tablet per me è pressoché impossibile… Passo a una domanda sui tuoi racconti: per ora ho letto solo il romanzo di Marlowe e due della saga di Giona Sei Colpi. Quanto c’è di te nei protagonisti della tua narrativa?

Regola vuole che ogni personaggio rispecchi parte dell’autore, in generale, e come esempio classico potrei citarti Flaubert che definiva Madame Bovary come se stesso in versione femminile. Poi però da ragazzo scoprii qualcosa che non sospettavo, leggendo una lettera personale di Dostoevskij: i personaggi prendono il sopravvento sull’autore, cominciano a decidere loro e lo scrittore non è altro che una vittima del loro volere. Come dice Bergonzoni, l’autore è solo un autorizzato: lo scrittore è solo uno scritturato.
Ora che ho citato questi grandi nomi, tuffiamoci in basso e arriviamo al mio caso. Qualsiasi velleità letteraria io possa aver avuto all’inizio, il risultato è che in breve tempo Marlowe ha preso il totale controllo della situazione: quando entra in una stanza sa lui cosa dire, io devo limitarmi a farlo entrare in quella stanza…
Quando il personaggio è nato, nel 2010, era un modo per trasformare in racconti gialli semi-seri vere storie “librarie” che erano accadute a me o ad altri che conoscevo. Librerie, biblioteche, collezioni private, biechi librai e collezionisti folli: mi divertii a viaggiare in ogni aspetto del tema raccontando spesso storie realmente accadute e quindi Marlowe poteva considerarsi una mia proiezione. Dopo 25 racconti e un romanzo, il personaggio ha finito per sviluppare un suo carattere che lo rende molto diverso da me: o meglio, è esattamente come io vorrei essere in un mondo ideale.
Sin da ragazzo adoro i personaggi sarcastici, quelli distaccati che sanno piazzare la battuta giusta che fa infuriare tutti ma che si guadagnano l’affetto del lettore. Dal vivo però queste persone sono odiate e nessuno le vuole intorno, quindi col tempo ho dovuto nascondere ogni “marlowianità” che è in me, ma la narrativa serve a quello: a correggere gli errori della realtà.
Di sicuro sono asociale come Marlowe e come lui trovo privo di significato ogni spostamento fisico (malgrado io ogni anno copra una superficie pari alla circonferenza terrestre!), ma per giocare con lo stereotipo dell’investigatore hardboiled ho dovuto renderlo allergico alla tecnologia, cosa che io non sono. Le mie ricerche sono in maggior parte digitali, mentre lui sfoglia ancora i libri cartacei. (Per sopperire a questa sua “mancanza” per un certo periodo gli ho affiancato un personaggio che sfruttava altri temi del genere “librario”, ma questa è un’altra storia.)
Impossibile poi qualsiasi accostamento con Giona Sei-Colpi, con cui condivido solo la cittadinanza romana. Con un “problem solver” dell’Ottocento, eterno fumatore e dal grilletto facile, non ho molto da spartire, ma il personaggio mi ha dato occasione di lanciarmi in una mia perversione personale: le “frasi maschie” che gli eroi d’azione con cui sono cresciuto un tempo lanciavano come se piovesse. Inoltre ho adorato sfogliare manuali tecnici della prima metà dell’Ottocento per fornire a Giona il massimo che la tecnologia del suo tempo consentiva, o meglio: gli ho dato ogni tecnologia che il suo tempo credeva disponibile. (Ignoro se i pirofori e vari giochi di fuoco usati da Giona funzionassero realmente, ma i manuali dell’epoca così li descrivono e quindi nell’universo letterario del personaggio tanto basta.) Non mi piace il fumo, ma l’idea di accendermi un sigaro in un qualche modo spettacolare è un’idea innegabilmente affascinante.
I due personaggi sono due esercizi diversi di scrittura. I racconti di Marlowe sono tutti narrati in prima persona al passato, nello stile appunto dell’hardboiled. “Ricordo quella notte, buia e tempestosa, in cui la bionda mozzafiato entrò nel mio ufficio”: questo è lo stile a cui Marlowe si rifà e che prende abbondantemente in giro. Giona invece si rifà ad un genere misto che chiamerei “action epico”. I suoi racconti sono tutti al presente – perché l’action è sempre immediata – e non sono mai raccontati dal suo punto di vista, perché l’epica ha bisogno di un cantore: in questo caso è la Sfregiata. Se Marlowe ha una scrittura molto riposante, Giona è più difficile perché ogni suo agire dev’essere raccontato da come lo vede la Sfregiata, e spiegato attraverso il suo punto di vista. Sono due stili molto diversi che permettono giochi letterari di diverso livello.
Quando ho affrontato “Le mani di Madian” mi sono reso conto che lo stile solito di Marlowe non andava bene per un romanzo, perché avrebbe previsto che lui fosse presente dappertutto – ed onnisciente – per raccontare ciò che accadeva ai vari personaggi, il che era impossibile. Così ho scelto uno stile patchwork: ogni capitolo è raccontato in prima persona dal personaggio che gli dà il titolo, così che ognuno dà la propria interpretazione dei fatti e ognuno ha il suo stile, permettendo a Marlowe di conservare il suo. Ogni narrazione in soggettiva nasconde in sé il dubbio che il personaggio stia mentendo, ma quando si passa ad un nuovo capitolo magari un altro personaggio ci dà indizi su quello che l’ha preceduto.
Quando per puro divertimento ho iniziato a scrivere fan fiction, dati i tempi ristretti – un capitolo ogni venerdì è un impegno più gravoso di quanto avessi previsto! – ho optato per uno stile rilassante al massimo: terza persona, tempo passato, narratore che descrive tutto. Stile classicone che assicura una semplicità di scrittura totale. Non è un caso se tutti i romanzi d’appendice a puntate sono scritti così…

C – Domanda solo apparentemente semplice: scrivi per te o per gli altri?

L – Quando ho iniziato a scrivere in modo massiccio sulla rete è stato per condividere le mie passioni, quindi sin da allora principalmente scrivo per me. Poi però nel tempo è capitata qualche collaborazione, di cui però solo in minima parte si è concretizzato il risultato. Quindi l’Etruscus potete trovarlo in alcune schede del saggio enciclopedico “Mondi paralleli” o nell’antologia “Chi ha ucciso Lucarelli?” Ho partecipato a molti altri progetti ma purtroppo non sono giunti a compimento.
Se invece volevi sapere se ho mai scritto “al posto di altri”, la risposta è no: mi affascina molto la figura del ghostwriter e ne ho più volte parlato, nelle sue varianti apparse nella cultura popolare, ma non sarei in grado di farlo. Non per questioni “etiche”, ma perché servirebbe una certa capacità di scrivere in più stili diversi che non sento di avere.

C – Raffica di domande finali: 

Sei un po’ il Re dei film di genere, nei tuoi blog si nota una passione per il cinema a 360° (anche se confesso che non avrei mai sospettato i tuoi esordi come blogger d’essai), quindi devi proprio scegliere UN titolo solo da consigliare di tutti questi generi:

WESTERN
ZOMBIE
EROTICO
FANTASCIENZA
CINEMA COI MOSTRI
CINEMA DI BOTTE
CATASTROFICO

L – Anni ed anni di social network hanno distrutto in me ogni capacità di stilare liste e dare giudizi assolutistici. Anche perché il cinema di genere segue fermamente lo stile del “gaudius interruptus”: un piacere incompleto che sta alla base di qualsiasi dipendenza, sì da assicurare la fidelizzazione del “cliente”. Così come una sigaretta o una bevanda non è mai pienamente soddisfacente, spingendoti a passare a quella successiva, un genere cinematografico non è mai appagante di per sé: devi vederli tutti e in maniera massiccia, per apprezare un gusto prolungato e capire i vari stili narrativi. Seguire un genere solo e vederne pochi titoli è tempo sprecato.
Ho vissuto periodi zombie in cui ho visto tutti i film di zombie disponibili in quel momento; ho vissuto momenti di mostri in cui sono andato a recuperare tutto ciò su cui potevo mettere gli occhi; negli ultimi trent’anni ho visto più “film di menare” di quanto sia consigliabile ad un essere umano, eppure tutto questo non fornisce né divertimento né appagamento. È un fiume in cui entri e ti lasci trasportare per un certo periodo, finché dura la passione del momento. Poi ne esci e vai subito a tuffarti in un altro fiume.

C – Ok, ho capito che non avrò mai una risposta secca, ma ci provo lo stesso…

MIGLIOR REGISTA ITALIANO?

L – Non amo il cinema italiano, non amo il suo stile tecnico né il suo stile artistico, non amo i suoi attori né i suoi registi, quindi non so rispondere. I registi italiani che amavo da ragazzo hanno fatto troppe cose inguardabili per amarli ancora.

C – FILM CHE UN PO’ TI VERGOGNI DI AVERE AMATO
FILM CHE UN PO’ TI VERGOGNI DI ODIARE

L – La vergogna prevede si provi un sentimento non accettato dalla comunità in cui si vive: visto che non riconosco alla mia comunità il diritto di questionare su ciò che amo o non amo, non provo vergogna cinematografica.
Semmai per vivere in pace taccio di film o registi o attori che disprezzo e che invece la comunità venera come dèi, perché le polemiche sarebbero così violente che ne otterrei solo svantaggi. Ho perso amicizie perché ho osato criticare un noto regista paragonato ad un dio vivente: non provo vergogna nel disprezzare un “intoccabile”, ma visti gli effetti nefandi del dirlo apertamente preferisco tacere.
Sono un fautore della divisione delle carriere fra amore e mente. Amo film che so essere oggettivamente brutti così come odio film che so essere oggettivamente belli, perché il sentimento non ha nulla a che vedere con la ragione, ma la vergogna non entra in questo discorso.

C – FUMETTO DA CUI VORRESTI TRARRE UN FILM
ROMANZO DA CUI VORRESTI TRARRE UN FILM

L – Dal Duemila il cinema statunitense è morto e non fa che sfornare cadaveri putrescenti: stessero lontani da romanzi e fumetti, per favore! (L’unica cosa buona dei film dal Duemila in poi è che non durano mai più di venti giorni, tempo limite oltre il quale nessuno li ricorda più e la loro puzza evapora.)
Da ragazzo quando leggevo un romanzo o un fumetto che mi appassionavano sognavo con forza una versione cinematografica, finché il sogno si trasformò in incubo: queste versioni cominciarono davvero ad apparire! Ed erano brutte come la fame…
Del mio periodo di amore per Stephen King (in cui ho letto circa 20 libri in due anni) ricordo la consapevolezza che anche una storia con cui era impossibile sbagliare… il cinema riusciva a sbagliare! Quando cominciai a leggere fumetti dell’universo di Aliens, scoprendo storie meravigliose, mi dissi che un eventuale terzo film di Alien sarebbe stato super-spettacolare. Poi il film arrivò… e in sala mi misi a piangere. Non per la fine di Ripley, ma per la sceneggiatura…
Quando sono stato preso da passione per Isaac Asimov e mi sono divorato tutti i suoi romanzi del ciclo Robot e Fondazione, amandoli violentemente uno dopo l’altro, già ero disilluso: che nessuno provi a trarci un film! Per fortuna l’inguardabile bruttezza mostruosa di “Io, Robot” con Will Smith ha bruciato ogni altra possibilità di sputare ancora su Asimov: gliene sarò sempre grato!
Proprio Asimov mi fornisce l’esempio per spiegarmi. Il buon Isaac ha impiegato quarant’anni e fiumi di romanzi a spiegare perché è impossibile che i robot positronici escano “malfunzionanti” dalla fabbrica, che è impossibile che i loro cervelli si guastino. Lo ripeto: è impossibile che un robot dal cervello positronico vada in tilt e ammazzi qualcuno, e questo è spiegato in quarant’anni di romanzi dalle trame d’acciaio, storie perfette in ogni singola parola, dove è spiegato che è impossibile che un robot funzioni male… Arriva il film e si apre con un robot che è uscito malfunzionante dalla fabbrica…
Questi sono i film tratti da romanzi e fumetti: un oltraggio vergognoso alla storia originale, perpetrato unicamente per mendicare spettatori. Si spera infatti che se fanno un film, che so, da Ghost in the Shell – cito a caso – non importa la sceneggiatura, tanto di sicuro tutti i suoi tanti fan pagheranno lo stesso il biglietto, anche se sputeranno sullo schermo. Ecco perché dal Duemila si fanno solo ed unicamente film non originali, perché si conta sui fan storici: spero che tutti i fan si coalizzino e smettano di pagare il biglietto per l’immondizia che il cinema ci sta propinando.

C – FILM CHE PARLA DI TE

L – Tutti i film che ho amato parlano di me, perché non puoi tirartela da intellettuale e poi rivederti “American Ninja”: è ovvio che una parte di me impazzisce per i filmetti ninja d’annata, così come un’altra stravede per Aliens.
Ma voglio chiudere sparando alto, quindi come film più personale, che cioè ha saputo entrarmi dentro più in profondità e farmi più male, che ha saputo distruggermi per poi ricostruirmi, cito “Persona” di Ingmar Bergman. Non perché la vicenda raccontata abbia qualcosa a che vedere con me, ma perché da quando l’ho visto – avevo circa 20 anni – lo porto sempre con me e lo considero parte integrante della mia essenza. Inoltre trovo fondamentale l’idea di fondo, quello scontro eterno fra realtà e fiction, quella frattura che si crea quando il mondo non corrisponde alla idea che noi ne abbiamo, quel sentimento che Camus chiamava semplicemente “assurdo”.
Impossibile però non citare anche “Daisy Diamond” (2007) di Simon Staho, che ne è la versione moderna, ancora più terribile, ancora più duro, ancora più devastante, con una splendida ed intensa Noomi Rapace. Uno dei migliori film del Duemila.. non a caso inedito in Italia.

Daisy Diamond

C – Infine, se domani ti chiamasse la Warner e ti offrissero 20.000€ per trasformare in saga cinematografica il tuo Giona Sei Colpi, ma ti dicessero che verrà diretto da un regista incapace e interpretato da un cast di attori odiosi, pseudo vip del grande fratello e comici televisivi riciclati, cosa risponderesti?

L – Mi prenderei i soldi – mica so’ scemo! – e poi pregusterei il più intenso dei piaceri stroncando il film da uno dei miei blog. “Ah, se avessero lasciato scrivere a me la sceneggiatura” scriverei, ben sapendo che è stato meglio così perché avrei fatto danni peggiori.
Parafrasando il Frasier Crane di una longeva sit-com troppo poco apprezzata in Italia, meglio di un buon film c’è solo un brutto film di cui poterne parlare male!

…non saprei proprio immaginare una chiusura migliore di questa perla di saggezza finale, quindi ringrazio i lettori arrivati fino in fondo e soprattutto ringrazio Lucius, la cui personalità si è dimostrata ancora più sfaccettata di quanto immaginassi. Alla prossima intervista!

22 thoughts on “Le interviste possibili del Cumbrugliume: Lucius Etruscus!”

  1. Grazie Michele che con questa iniziativa ci hai fatto conoscere meglio il grande Lucius… in particolare ho trovato notevole la teoria del gaudius interruptus!!😀👍

    • ogni “spacciatore” lo sa: mai soddisfare completamente il cliente! 😀 La narrativa di genere (che sia in film, libri o fumetti) deve piacere ma non soddisfare, se no non hai la spinta a continuare a tornare a “rifornirti”.
      Ti è mai capitato di leggere un libro così bello e perfetto che poi non riesci a leggere altro e devi far passare del tempo? Ti è mai capitato di vedere un film così bello che poi gli altri titoli del regista ti sembrano inferiori e poi magari manco li vedi più? Ecco, questi sono errori che i professionisti del “genere” cercano sempre di evitare 😛

      • Con qualche romanzo in effetti mi è successo… ho letto il primo, mi è piaciuto da morire, e ancora i successivi sono lì che aspettano che trovi il coraggio di cominciarli!

  2. Ahahah, non mi aspettavo davvero di trovarmi citato nell’intervista! Non ho molto da aggiungere, visto che Lucius ed io ci confrontiamo quasi quotidianamente su passioni condivise e discrepanze… Dico solo: bella intervista e complimenti a tutti e due 🙂

    • Ti ringrazio ed era doveroso citarti, visto gli spunti che mi arrivano dalle nostre discussioni. Sono pantagruelico e non riesco a concretizzare “in piccolo”, ma sappi che ho progetti che in qualche modo ti riguardano che sono di una vastità che difficilmente riuscirò a gestire 😀

  3. E’ sempre un piacere sentire l’etrusco raccontare le sue vicissitudini. Molte di queste cose già avevo avuto modo di scoprirle nel corso di questa ormai lunga frequentazione blogghesca, altre sono state delle scoperte: non pensavo per esempio che l’esperienza di Thriller Magazine fosse stata così fallimentare…

    • Purtroppo il sito è un conglomerato di banner pubblicitari e spot vari che la lettura ne risulta fortemente impedita. Comunque dopo un mare sconfinato di articoli mi sono ritrovato in pratica ad essere “inedito”, e il motore di ricerca del sito non è dei migliori. Con WordPress invece ho avuto la possibilità di condividere di più e togliere tutta quella pubblicità.
      Per farti un esempio, per più di 3 anni ogni dieci giorni è uscito un mio articolo sugli pseudobiblia, e non è stato facile rispettare la scadenza: tutto materiale che nessuno ha mai letto. Quella parte che invece ho riciclato per NonQuelMarlowe e ho spammato in giro almeno qualcuno ha raggiunto 😉
      Continuo ancora ad inserire notizie, comunque: ogni giorno – dal lunedì al venerdì – esce una notizia-lancio su TM a mia firma, grazie al fatto che malgrado la scomparsa dei lettori le case editrici sono più vispe che mai, e ogni settimana escono fiumi di libri da cui scegliere titoli “thriller” (più o meno). Però la notizia esce in contemporanea con gli Archivi di Uruk, perché così va a formare un corpus più vasto ed ordinato. (Si spera!)

  4. «A me sembra che il mondo dei blog stia benissimo: forse i problemi se li fanno solo i blogger…»
    Prendi, piglia e porta a casa, grazie Lucius! 😉

    Niente, hai fatto bene ad intervistarlo, Lucius è la prova che la passione che ci metti a fare le cose conta più di tante altre balle, inoltre capisco bene quella sensazione di “Qua stanno parlando tutti di calcio, che palle!”, ben venga chi utilizza la rete per condividere passione e conoscenza, e non solo filmati di gattini 😉 Grande intervista, hai un talento per le domande! Cheers!

  5. E’ stato implacabile ma soprattutto paziente, di fronte alle mie risposte fiume 😛
    A me sembra che i blog siano più vivi che mai: ovviamente qualcuno ha più tempo da dedicarci e qualcuno meno, ma tutta questa “morte” in giro non la vedo proprio 😉

  6. Eccomi qui! Letta ieri ma riesco a commentare solo oggi! Grande intervista per uno dei blogger più prolifici e preparati del web, col quale ho anche avuto il piacere e l’onore di collaborare.
    Nemmeno conoscevo tutti i suoi blog, tra passato e presente 😮
    Lucio, ma non ti conviene fare una megapiattaforma? Esce una nave-madre fantastica^^

    Moz-

    • Ti ringrazio Miky, e in effetti da tempo sto cercando un modo per accorpare le mie iniziative sparse per il web, magari un dominio dove linkare tutto, ma poi dovrei collegare a mano e diventa una perdita di tempo. Ho provato con quei software per feed ma non funzionano bene, magari dovrei fare un giro per vedere se hanno inventato qualcos’altro.
      L’idea sarebbe un blog-madre dove venga data notizia dei post che volta per volta appaiono sui vari blog figli. Dove ricordare i 20 miei libri in vendita e i vari altri gratuiti, dove insomma informare chi sia interessato alle mie varie iniziative. Per ora non sembra fattibile, ma prima o poi troverò l’automatismo giusto 😉

          • Ma io ve lo dico sempre che WORDPRESS E’ IL MALE INCARNATO :p
            Cooomunque, ha ragione Michele, sarebbe un vero network.
            Pensaci, magari una soluzione possibile c’è 🙂

            Moz-

          • Di soluzioni ce ne sarebbero eccome, anche e soprattutto usando WordPress… di soluzioni semplici e gratuite (soprattutto per un progetto di questa portata :D), pochissime 🙂 Ma se ne può ragionare. W l’Etruscus Network!

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