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GLOW: Orange is the new wrestling

GLOW

Qualche giorno fa ho letto un articolo nel quale il giornalista si lamentava che ormai Netflix produce troppe serie, e non riesce più a garantire che ognuna di essa mantenga quella qualità superiore che siamo abituati ad aspettarci, con il risultato di abbassare l’attesa e in qualche modo normalizzare il fenomeno. Sarà forse così. O forse, più probabilmente, Netflix ha cominciato a diversificare l’offerta senza più sperare che TUTTI i sottoscrittori possano guardare TUTTO ciò che viene prodotto. Io, ad esempio, ho accolto con una pernacchia la notizia delle miniserie-revival di Una Mamma per Amica, ma quando ho visto il primo trailer di GLOW ho cominciato a salivare.

GLOW, appunto.

GLOW

Nel 1986 il wrestling viveva il suo momento d’oro. La prima Wrestlemania aveva avuto risultati persino inaspettati, il volto di Hulk Hogan era ovunque, Hulkamania was running wild e il mondo si stava improvvisamente accorgendo che quegli omaccioni stereodati in calzamaglia stavano cominciando a far appassionare un pubblico che non era più solo quello di bifolchi alle fiere paesane incapaci di distinguere la realtà dalla finzione. David B. McLane lavorava al tempo per la World Wrestling Association, una federazione minore con sede a Indianapolis gestita dalla vecchia gloria Dick the Bruiser, per il quale aveva anche gestito il fan club quando era al college. La WWA prevedeva anche uno spazio riservato al wrestling femminile, ma così come nelle altre federazioni le donne erano in realtà poco più che un siparietto, uno stacco dal wrestling “serio” per permettere al pubblico di bere una birra e rifarsi gli occhi. McLane insistè perché alle donne venissero riservati più spazio e storie più serie, ma Dick the Bruiser era uno della vecchia scuola, e gli rispose che non avrebbe mai funzionato.

E allora McLane provò a Las Vegas.

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La Gorgeous Ladies of Wrestling (GLOW) venne lanciata in maniera completamente diversa da quanto si era visto fino allora. Un casting che aveva coinvolto quasi 500 ragazze, una gestione pensata fin da subito per la fruizione televisiva, gli stessi personaggi colorati e improbabili che stavano facendo la fortuna della allora WWF ma pensati in chiave persino più pop. C’erano la ragazza americana vestita solo a stelle e strisce e la party girl hollywoodiana, la terrorista mediorientale e la gigantessa esotica… i loro incontri non erano forse tecnicamente dei capolavori ma ehi, eravamo negli anni 80! Di ogni stagione venivan girati 26 episodi, poi replicati una volta nel corso dell’anno fino a giungere alla stagione successiva. Nelle prime serie la GLOW si costruì un seguito di culto, arrivando spesso a superare i rating della WWF, il cui Superstars spesso andava in onda negli stessi canali nell’orario immediatamente successivo o precedente.

GLOW

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Ovviamente la GLOW non arrivò mai a raggiungere lo stesso livello di successo globale. Innanzitutto non c’erano eventi dal vivo. Ogni episodio era registrato nella sala di un albergo appositamente attrezzata, una regia attenta copriva alcune imprecisioni delle lottatrici (insieme ad alcune più esperte c’erano delle esordienti assolute) e mancava tutta quella parte di introiti ai botteghini che la WWF realizzava in mezza america. Poi la novità divenne presto un’abitudine, e come ogni abitudine cominciò a stancare: i ratings calarono, cominciarono i problemi economici e… per farla breve, dopo quattro stagioni lo show smise di andare in onda. C’è stato qualche tentativo di rilancio, ma senza grossi successi. Per ora.

Perché chi lo sa, visto il successo ottenuto da questa serie…

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La serie di Netflix non segue esattamente quanto successo nella realtà, ma vi va molto vicina. L’originale GLOW, ad esempio, aveva una lottatrice di nome Palestina… qui abbiamo Beirut. Lo spirito, insomma, è lo stesso, opportunamente riadattato per rendere la storia più interessante. Al centro della trama abbiamo Alison Brie, che è da molto tempo nel novero delle mie favorite. Nella serie è Ruth Wilder, aspirante attrice che vorrebbe ricoprire ruoli importanti, quelli riservati solitamente agli uomini, ma che finisce per non ottenere mai la parte. La frustrazione la spinge a compiere scelte sbagliate, tipo andare a letto con un uomo sposato con una persona che conosce bene… Il wrestling, ambiente prima completamente sconosciuto, la porta ad identificarsi finalmente con un personaggio, a capire l’importanza del lavoro di squadra e a legare con le altre.

Il gruppo dietro GLOW è quello di Orange is the New Black, e… si vede abbastanza. Anche qui la serie è tutta al femminile e c’è un’attenzione (nella prima stagione non ancora così definita, ma le basi sono state messe) per lo sviluppo ed il background dei personaggi. C’è anche l’ambizione di dire cose anche molto serie con tono leggero… più leggero, anzi. GLOW anche quando tocca temi sensibili da l’idea di rimanere ancora una serie che punta in primis a divertire, e non c’è niente di male nel farlo. Rispetto a OitNB, inoltre, il femminismo è meno marcato, e anche i personaggi maschili che sembrano poter ricoprire ruoli negativi alla fine sono visti positivamente. Alcuni episodi sono davvero riuscitissimi, in altri la trama orizzontale è un tantino slegata, come se mancasse qualche passaggio (o qualche minuto a ogni puntata). I fan accaniti del wrestling non si aspettino grandissime cose dal punto di vista lottato… il maggior divertimento è individuare i tanti cameo di stelle più o meno brillanti degli ultimi anni, come John Morrison, Brodus Clay, Carlito, Alex Riley e così via. Oltre a Awesome Kong, ovviamente, praticamente perfetta nel ruolo della Welfare Queen.

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In generale, mi sento di consigliare GLOW. Al limite, se non vi piacesse, vi rifarete gli occhi coi costumini sgambati delle protagoniste!

Voto: ****

4 thoughts on “GLOW: Orange is the new wrestling”

  1. Mi spiace risponderti sempre la stessa cosa, ma guarda un po’ segui le mie stesse serie 😉 Ripasserò a leggerti, ma sapevo che la stavi guardando anche tu ,-) Cheers

  2. La sto vedendo in questi giorni quindi sospendo la lettura, ma tornerò a commentare quando l’avrò finita. Dopo una prima puntata che mi ha esaltato mi sembra già in fase calante: spero che migliori dalla sesta in poi…

  3. […] Ho divorato puntata dopo puntata quindi non posso dire che la serie non mi sia piaciuta, però per quasi l’intera durata ho provato un senso di delusione e non facevo che chiedermi “Ma dove cacchio sta andando ‘sta storia?”, quindi non posso certo dirmi soddisfatto. Comunque per un’altra opinione vi rimando al blog Il Cumbrugliume. […]

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