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Lettere da Iwo Jima – bandiere di altri padri

Lettere da Iwo Jima

Alla fine del 1944 era ormai evidente come i paesi dell’Asse stessero perdendo la Guerra. In Europa la Germania stava perdendo rapidamente terreno, lo sbarco in Normandia rendeva i nazisti ormai accerchiati su tre fronti, con i fascisti in rotta a sud, l’Unione Sovietica che avanzava a est e gli americani a conquistare rapidamente terreno a ovest. Berlino sarebbe caduta solo il due maggio, ma ormai la capitolazione appariva solo questione di tempo. Anche in Oriente il Giappone stava perdendo rapidamente terreno, la perdita delle Marianne aveva esposto il suolo giapponese agli attacchi dei bombardieri americani, ma l’isola di Iwo Jima rimaneva una postazione strategica importantissima, una sentinella che consentiva alla difesa antiaerea nipponica di prepararsi con due ore di anticipo sull’arrivo degli aerei a stelle e strisce. Prendere Iwo Jima significava secondo gli strateghi dell’esercito accelerare di molto la fine del conflitto.

Iwo Jima

La battaglia durò oltre un mese, dal 19 Febbraio al 26 Marzo del 1945, e fu una delle più terribili e sanguinose del fronte orientale. I giapponesi combatterono fino all’ultimo uomo, nonostante la netta inferiorità numerica, e si stima che su circa 21.000 effettivi le vittime siano state 20.000. Agli americani andò un po’ meglio, ma le perdite furono comunque ingenti: quasi 7.000 morti e 20.000 feriti su 70.000 soldati impiegati. L’isola era fortificatissima, piena di tunnel sotterranei, la pioggia cadeva in continuazione rendendo la lotta confusa, la cenere vulcanica che ricopriva il terreno rallentava le avanzate e gli aerei nipponici fecero sfracelli contro le prime portaerei giunte presso l’isola. Ma presto la superiorità numerica riuscì a dare i suoi frutti. Uno dei primi momenti chiave fu la conquista del Monte Suribachi, solo 169 metri di altezza ma importantissimo per controllare l’isola. Presa la cima, il fotografo della Associated Press Joe Rosenthal riuscì a scattare una foto che divenne presto un simbolo della Seconda Guerra Mondiale, la cui storia potete leggere con più completezza in questo bell’articolo de Il Post.

Iwo Jima

La storia della battaglia era stata già raccontata in Sands of Iwo Jima, un film di Allan Dwan del 1949 con John Wayne come protagonista. Purtroppo non ricordo di averlo mai visto, ma fu un grande successo, con quattro candidature agli Oscar. Pare che il personaggio del sergente interpretato da John Wayne sia stato poi il modello su cui Kubrick creò il sergente Hartman di Full Metal Jacket. Nel cast c’erano anche gli unici tre sopravvissuti dei sei uomini immortalati in quella foto, anche se l’identificazione è sempre stata molto discussa… tra loro il pellirosse Ira Hayes, a cui il cantautore folk Peter La Farge dedicò una ballata cantata poi tra gli altri anche da Bob Dylan…

Nel 2006, Clint Eastwood ha nuovamente raccontato questa vicenda in Flags of Our Fathers, basato sull’omonimo libro di James Bradley e Ron Powers. È la ricostruzione della storia di quei marines, venne nominato a due premi Oscar ed è stato apprezzatissimo dalla critica. Ma contemporaneamente a questo film Clint Eastwood ne ha girato anche un altro, tratto dalla raccolta epistolare Picture Letters from Commander in Chief di Tadamichi Kuribayashi, e dedicato questa volta al punto di vista giapponese. E ne è venuto fuori un capolavoro.

Lettere da Iwo Jima

Le lettere del titolo sono quelle scritte dai soldati giapponesi alle famiglie in patria, e mai consegnate. Il film di Eastwood parte dal ritrovamento di una sacca militare nella sabbia nel 2005, poi torna indietro nel tempo ai giorni precedenti l’inizio della battaglia, ne racconta i preparativi, le esperienze dei giovani soldati lì impiegati, i tentativi di organizzazione del generale Kuribayashi, che era stato negli USA e conosceva gli americani ben al di là di quanto diceva la propaganda ufficiale.

Lettere da Iwo Jima

Il generale è interpretato nel film da Ken Watanabe, uno dei più noti attori giapponesi e scelta perfetta. Il film è girato quasi completamente in giapponese ed è stato distribuito (inizialmente anche in Italia) in versione sottotitolata, una scelta molto estrema che sicuramente avrà influito parzialmente sugli incassi al cinema, ma che è testimonianza dell’intenzione del regista, che ha inteso i due film come un unico omaggio ai caduti di entrambi gli schieramenti. Non necessariamente contro la guerra, ma sicuramente a favore di chi soffre.

Lettere da Iwo Jima

Si fa sempre un gran parlare delle idee politiche di Eastwood, del suo essere repubblicano fino al midollo, supporter di Trump, lo si è chiamato guerrafondaio e fascista, ma dai suoi film continua a trasparire una umanità così universale, intensa, impeccabile, che proprio non riesco conciliare con fascismo e razzismo. Clint è un uomo della vecchia destra conservatrice, uno alla vecchia maniera, ma nel suo animo c’è talmente tanto rispetto da prevalere su tutto il resto. Se Flags of our Fathers esplicitava fin dal titolo un certo intento retorico (le bandiere…), con le Lettere da Iwo Jima entriamo in una dimensione più intima, più personale, andiamo a conoscere davvero chi si nasconde dentro l’uniforme del nemico, e scopriamo che si tratta di un uomo, con le stesse paure, gli stessi preconcetti, le stesse emozioni di chi lotta dall’altra parte. L’uomo (nobile e popolano, sprezzante del pericolo o strenuo difensore della propria incolumità) è vittima della guerra che viene decisa sopra di lui. Non mancano certo crudeltà e miserie nelle tante piccole storie che compongono Lettere da Iwo Jima, ma non vanno a inficiare quello che è il messaggio fondamentale del film.

Lettere da Iwo Jima

Eastwood, a 76 anni (quanti ne aveva all’epoca), aveva raggiunto uno stato di grazia registico che gli permetteva di fare sostanzialmente ogni cosa che voleva. Non che ora l’abbia perso, intendiamoci. Nonostante la lingua giapponese, la direzione degli attori è praticamente perfetta (bravissimo anche Kazunari Ninomiya, il panettiere spedito al fronte senza nessuna preparazione), da loro viene tirato fuori solo il meglio. Registicamente alterna movimenti ampi, quasi lirici, a scene di battaglia modernissime (anche dieci anni dopo) e concitate, girando il tutto in colori freddi, tra il seppia il grigio e il blu, che rendono l’idea dell’angoscia dell’assedio in un’isola piccolissima, scura, lontana da casa e priva di ogni cosa, che solo le esplosioni delle bombe e il rosso del sangue riescono brevemente a illuminare.

Lettere da Iwo Jima Clint Eastwood sul set

Lettere da Iwo Jima è un film durissimo e fondamentale, che mi viene sempre da accomunare a La Sottile Linea Rossa, di un altro regista diversissimo ma sempre chiacchierato come Malick! Sempre viva Clint Eastwood!

5 thoughts on “Lettere da Iwo Jima – bandiere di altri padri”

  1. Bellissimo post non vedevo l’ora di leggerlo, l’attesa è stata pienamente ripagata complimenti 😉
    Trovo buffo che ogni tanto a turno, qualcuno si scordi della posizione politica di Eastwood, quando uscì “Flags” la marea di quelli che criticano i film in base a cosa vota il regista che li ha diretti è tornata ad alzarsi, era un buon film, carico di retorica e poco altro. “Letters” invece ha un altro passo, per me è ancora oggi tra i cinquw sei film migliori mai diretti da Eastwood, menzione speciale per la colonna sonora (firmata dal figliolo di Clint) che trovo meravigliosa.

    Ken Watanabe sugli scudi e con lui Clint, che con questa mossa di mostrarci la storia anche dall’altro punto di vista, ha aperto un mondo, sono anni che sogno “Sentieri Selvaggi” dal punto di vista degli Indiani 😉 Solo un autore (e un uomo) dalla statura morale come Eastwood poteva giocarsi una carta del genere, non condividerò mai la sua posizione politica, ma proprio per la sue etica e l’umanità dei suoi film, resta degno di ammirazione. Cheers!

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