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La Chimera di Arezzo

Nel XVI secolo Arezzo viveva forti cambiamenti. I Medici avevano ormai acquisito il controllo, e decisero di riprogettare completamente il sistema di fortificazioni che circondava la mia città, per ammodernarlo e renderlo più funzionale. Numerosi cantieri si susseguirono nel corso degli anni, e come spesso accade in luoghi ricchi di storia come questo furono moltissimi i reperti storici riportati alla luce, perlopiù di epoca romana ma spesso anche precedenti.

Il più importante di questi ritrovamenti avvenne il 15 Novembre del 1553, e questa è la cronaca che venne riportata da un anonimo scrivano nelle “Deliberazioni del Magistrato, dei Priori e del Collegio Generale” di quegli anni, e conservate presso l’Archivio di Stato.

«Addì 15 novembre 1553, mentre fuori le mura della città di Arezzo, presso Porta S. Lorentino, si scavava terra per portarla nel nuovo bastione che vi si sta costruendo, fu trovato il seguente insigne monumento degli etruschi. Era un leone di bronzo fatto con maestria e eleganza, di grandezza naturale, di aspetto feroce, furente, forse per la ferita che aveva nella coscia sinistra, teneva irte le chiome e spalancate le fauci, e come un trofeo da ostentare portava sopra la schiena una testa di capro ucciso, che perde sangue e vita. Nella zampa anteriore destra di questo leone erano iscritte le lettere TINSCVIL».

Per conto del Granduca Cosimo de Medici, fu Giorgio Vasari a condurre i primi studi iconografici sul bronzo, riconoscendo in esso la Chimera del mito di Bellerofonte e portando avanti le prime opere di restauro. Accanto alla Chimera erano stati trovati numerosi altri bronzetti, tra i quali anche i resti della coda a serpente, spezzata e non riunita al corpo che un paio di secoli dopo in un maldestro tentativo di restauro (originariamente era rivolta all’attacco di Bellerofonte o di altri nemici, non mordeva certo la testa della capra).

Cosimo de’Medici si rese conto subito del grande valore dell’opera, anche propagadistico, e decise di esporla pubblicamente a Palazzo Vecchio, in una sala decorata dal Vasari stesso, che ne scrisse “Come Bellerofonte colla sua virtù domò quella montagna che era piena di serpenti, camorre e leoni, così Leone X, con la sua liberalità e virtù, vincessi tutti gli uomini; che lui ceduto poi, ha voluto il fato che la si sia trovata nel tempo del Duca Cosimo, il quale è oggi domatore di tutte le fiere”.

Da Palazzo Vecchio l’opera fu spostata nel 1718 nella Galleria degli Uffizi, e nel 1870 nel Palazzo della Crocetta, dove è ospitata tuttora nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, del quale rappresenta una delle principali attrattive. Periodicamente ad Arezzo qualcuno prova a chiedere che la Chimera venga riportata nella sua sede originale ed esposta nella nostra città, per la quale rappresenterebbe un simbolo e un forte richiamo turistico…

Questa, in brevissimo, è la storia della Chimera di Arezzo, così come la conosciamo.

Ma se vi dicessi che forse insieme alla Chimera che conosciamo ne è stata trovata (e poi nascosta) un’altra? Una Chimera più grande, più bella, più perfetta, più… pericolosa? Una Chimera che è rimasta segreta per secoli, la cui esistenza è stata appena scoperta, e che si lavora per riportare alla luce?

Rimanete sintonizzati… ne riparleremo.

3 thoughts on “La Chimera di Arezzo”

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