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Un carabiniere entra in un caffé

Un carabiniere entra in un caffé.

A dire il vero non sarebbe fondamentale per la fruizione della storia che si trattasse di un carabiniere: potrebbe essere anche un impiegato delle poste, una cheerleader, un leader politico degli Inuit o un cacciatore di taglie brasiliano. Ma si sa, pensare a un carabiniere fa già ridere in partenza, soprattutto se ce lo si figura in alta uniforme, col cappellone col pennacchio, i guanti bianchi e la sciabola. Un carabiniere in alta uniforme entra in un caffè. Deve anche abbassarsi un po’ perché altrimenti il cappellone non passerebbe dalla porta. Buffissimo, no? E inoltre aiuta ad aggiungere colore ai dialoghi che seguiranno, altrimenti la storia finirebbe troppo presto.

Il caffè è uno di quei localini minuscoli che si ispirano agli anni ’30, che sembrano sempre fumosi anche se la legge impedisce di accendersi una sigaretta dentro un posto simile ormai dal 2003. Tavolini elegantissimi in finto ebano, dischi jazz attaccati alle pareti col patafix, illuminazione soft che vuole apparire ricercata ma in realtà è solo sciatta. Robaccia raccattata dal rigattiere e ripulita alla bell’e meglio accatastata negli angoli: un sassofono polveroso, un berretto da ferroviere, una bicicletta Atala degli anni 40, un album di figurine dei calciatori Panini del 1984 che non si capisce bene cosa c’entri, ma comunque è vintage. Il barista è un trentaduenne hipster nato in provincia di Rovigo, convinto che i suoi baffoni arricciati abbiano un effetto irresistibile sulle ragazze. In realtà non è così, se qualcuna se lo fila un po’ è solo per prenderlo per il culo e magari scroccare un cocktail gratis, ma lui non se ne rende conto e continua a spendere centinaia di euro all’anno in prodotti specifici per il grooming fabbricati con grasso di tricheco in un laboratorio artigianale di Norrköping. Per riuscire a scopare adotta una tattica disperata che consiste nell’incrementare gradualmente il tasso alcoolico dei suoi cocktail nel corso della serata, rendendoli sostanzialmente imbevibili se non per una clientela di rimbambiti figli della notte che di lavoro fanno gli influencer e arrotondano spacciando coca nel bagno del caffè.

Ma neanche questo conta moltissimo, soprattutto perché quando il carabiniere si abbassa (ricordate il cappellone?) per varcare la porta d’ingresso sono le 11.17 di mattina e i rimbambiti sono a letto a dormire. Nel caffé (lo si potrebbe chiamare anche bar, se fossimo meno spocchiosi) nessuno beve alcoolici a quell’ora, salvo un vecchio avvinazzato di nome Gerardo che va avanti a vinsantini dalle otto e mezza. Il barista ogni tanto lo guarda, un po’ schifato per il suo aspetto trasandato e la puzza di vino e piscio che emana ma sotto sotto anche invidioso, perché vorrebbe chiamarsi Gerardo come lui e invece i genitori l’hanno battezzato Mario. Mario, come il nonno. E perché Gerardo scopa ogni sera, malgrado l’alcool e la puzza di piscio, con una cinquantenne cubana con cui si è fidanzato qualche anno prima e che ha fatto venire apposta da L’Avana. Per amore. Lo sa perché Gerardo spesso gli fa vedere i filmati che gira col cellulare mentre scopano. Filmati sgranati, osceni, repellenti che Mario però apprezza, perché si vede che la cinquantenne (un po’ sovrappeso ma ancora una bella donna, una specie di Mara Venier mulatta) mette impegno e passione nel succhiare quel cazzo grosso e peloso, non lo fa solo per senso del dovere e soldi. Succhiando e accogliendo quel cazzo nei suoi orifizi esprime tutto l’amore, la devozione e la riconoscenza per essere stata portata in Italia dalla natia Cuba, mentre tanti vacanzieri magari figli di genitori ex comunisti (ora il papà vota Lega, la mamma Movimento 5 Stelle) fanno ogni anno il viaggio opposto alla ricerca delle tre s: sesso facile, sole e selfie con i murales di Che Guevara, che comunque la si pensi politicamente è ancora una gran bella icona e fa veramente figo sfoggiarla nel proprio profilo Instagram.

Torniamo al carabiniere, che intanto si è aggiustato il cappello sulla testa e si sta avvicinando al barista Mario, che ha smesso di fissare Gerardo e ora guarda lui, ridacchiando sotto i baffi hipster.

«Buongiorno.» Saluta il carabiniere.
«Buongiorno a lei.» Risponde il barista sempre ridacchiando.
«Scusi, ma perché ridacchia?» Chiede il carabiniere un po’ impermalito. Se ne è accorto.
«Niente… no, dicevo… niente.»

Ma a guardar bene il barista Mario ridacchia ancora. Il carabiniere lo squadra con sospetto da sotto il cappellone. Quella situazione non gli piace, si sente preso in giro, e se ha imparato qualcosa in dodici anni da carabiniere è che nessuno può permettersi di prendere in giro un carabiniere.

«Scusi se insisto, ma lei sta proprio ridacchiando.»
«Non è mia intenzione, lo giuro, solo che…» E non riesce più a trattenersi. «Ahahahahahahah!»
«Guardi la smetta subito o la arresto, sa!»
«No… no… la prego non lo faccia, è che la situazione è troppo buffa, ne dovrà convenire anche lei!»
«Non convengo affatto. Anzi, mi spieghi.»
«Eh… è che lei è un carabiniere!»
«E quindi?»
«Un carabiniere qui, nel mio caffé.»
«Continuo a non capire.»
«La riconosco! Non può negarlo, lei è quello delle famose barzellette!»

Il carabiniere (che per coincidenza si chiama pure lui Mario, ma anche questa cosa non ha alcuna influenza sulla fruibilità della storia e comunque il barista Mario non lo verrà mai a sapere, altrimenti forse avrebbe riso ancor più per la straordinaria coincidenza) si gratta il mento pensieroso. In passato qualcuno gli ha accennato dell’esistenza di misteriose “barzellette sui carabinieri”, ma a lui non è mai capitato di ascoltarne una. Sinceramente pensa si tratti solo di una leggenda metropolitana, come quella che vuole che nelle fogne esistano dei coccodrilli albini. Sa che non dovrebbe, ma è incuriosito.

«Me la racconti, allora.» Intima al barista con fare carabinieresco.
«Ma… Non mi pare il caso…»
«No, insisto. Se è così famosa e mi vede come protagonista allora me la racconti.»
«Guardi mi scusi se l’ho offesa. Non era mia intenzione. Eppoi non intendevo proprio lei come protagonista. Uno che fa il suo mestere, diciamo.»
«Non mi ha affatto offeso. La caratteristica principale di noi carabinieri è proprio la non permalosità, lo sapeva?»
«Onestamente, no.»
«È una delle caratteristiche meno note del nostro addestramento, in effetti.»
«Sono felice di avere imparato qualcosa di nuovo.»
«Sono felice di averle insegnato qualcosa di nuovo. Ora, però, me la racconti.»
«Cosa?»
«Una delle famose barzellette.»
«Ne è proprio sicuro, eh?»
«Sì.»
«Il fatto è che forse non sono così famose.»
«Non importa. Non abbia timore, me la racconti.»
«Ok.»

Il barista Mario deglutisce. Si sente un po’ teso. Guarda alla sua destra, dove Gerardo continua a bere il suo vinsanto senza dare l’impressione di essersi accorto di niente. Lo invidia anche per questo. Forse avrebbe dovuto cominciare anche lui a bere vinsantini dalle 8 di mattina, ora sarebbe più sciolto e non avrebbe timore nel raccontare quella che, in fondo, è soltanto una piccola storiellina ironica. Gli invidia già il nome, la moglie, il cazzo e ora persino l’alcolismo. A pensarci bene gli invidia anche il portafogli, perché ogni giorno Gerardo spende almeno cinquanta euro in vinsantini e Mario non l’ha mai sentito accennare a qualcosa di relativo a un lavoro, un introito, una fonte di guadagno. Con lui esistono solo alcool e scopate, alcool e scopate. Occasionalmente provava ad attaccare bottone con lui anche sui risultati delle partite di calcio, ma non sembrava un grande appassionato di sport anche se tifava (moderatamente) per l’Atalanta. Forse ha vinto al gratta e vinci qualche anno fa, e ancora vive di rendita. O magari investe in borsa, Mario ha sentito che bastano pochi minuti al giorno dal proprio telefonino, e se uno è portato o ha fortuna può guadagnare miliardi. Nel suo piccolo lui ha meditato per mesi di provare a investire in bitcoin, ma non ha proprio idea di come fare a cominciare. Comunque, a fare il barista si incontrano sicuramente più ragazze.

«Scusi?» Gli dice il carabiniere.
«Sì?»
«Sto aspettando.»
«Cosa?»
«La storiella.»
«Oh, mi scusi. Ero sovrappensiero e me ne sono dimenticato.» Si gratta la testa. «Dunque…» Cerca di pensare a una barzelletta simpatica ma non troppo offensiva. Una che può far ridere tutti, insomma. Ma non è facile. Dopotutto il carabiniere Mario è un carabiniere, persona integerrima, serissima, addirittura in alta uniforme.
«Se può sbrigarsi. Sa, sarei in servizio.»
«L’avevo notato dall’alta uniforme.»
«Bella, vero? Fa molto colpo sulle ragazze.»

Il carabiniere Mario non lo sa, ma questo è un altro colpo al cuore per il barista Mario, che in questo momento sta pensando che forse ha sbagliato tutto. Forse non avrebbe dovuto puntare sull’alcool scadente e sui baffoni da hipster, ma sull’alta uniforme! Sua madre, quando era bambino, gli diceva sempre che stava proprio bene col cappellino. E se stava bene col cappellino, sarebbe stato sicuramente benone col cappellone. Ripensando alla mamma, trattiene una lacrima. Non la vede da troppo tempo. Ben tre giorni. Forse dovrebbe chiamarla, gli manca davvero. Ma ora deve tornare alla storiella, non può far perdere tempo così a un tutore della legge in alta uniforme.

«Dunque, c’è un carabiniere.»
«Dove?» Chiede l’altro Mario guardandosi intorno.
«Un attimo, mi faccia continuare e le spiego tutto. C’è un carabiniere in casa sua.»
«In casa mia? Con mia moglie?»
«No! In casa sua, nel senso in casa di lui. Nella casa di sua proprietà. Anzi, che ha appena acquistato.»
«Meno male, mi stavo preoccupando. Non che non mi fidi di mia moglie, ma c’è il vicebrigadiere Bigozzi che ha fama da playboy, e non si sa mai.»
«No, no, mi scusi per il disguido ma quando ci si da del lei queste cose possono succedere. È nell’appartamento che ha appena comprato.»
«Io ho una villetta a schiera. Sa, con i figli, e il cane, un appartamento non bastava più.»
«Mi fa piacere, spero si trovi bene.»
«Sì, non mi lamento. Anche se tagliare l’erba è una bella seccatura. Per fortuna ad innaffiare i fiori pensa mia moglie. Comunque continui.»
«La storia?»
«Certo. Sono curioso di sapere cosa è successo a questo collega. A proposito, lo conosco?»
«No è un… collega generico, diciamo.»
«L’appuntato Calogero Generico? Guardi che lo conosco bene, Calogero! Anche se non sapevo che avesse acquistato una casa.»
«No! Era generico nel senso di un carabiniere a caso, non il suo amico Calogero.»
«Se è un carabiniere a caso potrebbe benissimo essere Calogero, o persino io. Questa è logica, caro mio.»
«Sì ma lei non ha acquistato un appartamento, no?»
«Anche questo è vero. Ma magari Calogero…»
«No! No!» Si preoccupa Mario il barista. «Diciamo un carabiniere casuale che abita lontano! Non qui!»
«Tipo in Puglia?»
«Ecco, tipo in Puglia.»
«Ho un sacco di amici in Puglia.»
«A Bolzano conosce nessuno?»
«Mi ci faccia pensare… no. Credo di no.»
«Allora è un carabiniere di Bolzano, che ha appena acquistato l’appartamento. Ma non gli piace il colore delle pareti.»
«E perché non gli piace, scusi? Che colore sono?»
«Sono… sono rosa. E lui le vorrebbe bianche.»
«Beh è una buona scelta. Il bianco è un classico.»
«Sì, approvo anche io. Va sempre bene. Comunque questo carabiniere casuale di Bolzano vuole fare le pareti bianche, ma non ha idea di quanta vernice comprare.»
«Un bel problema.»
«Già. Per fortuna però un altro carabiniere si era trasferito prima di lui nell’appartamento accanto, che era esattamente uguale al suo.»
«Un altro carabiniere di Bolzano?»
«Sì.»
«Una bella coincidenza avere un collega proprio nell’appartamento accanto.»
«Esatto!»
«Potrebbero anche fare car-sharing per andare al lavoro.»
«Un’idea intelligente.»
«Modestamente, sono in alta uniforme. Quindi è finita?»
«Cosa?»
«La storia.»
«No! La parte divertente deve ancora arrivare.»
«Ah, mi sembrava infatti. Non ho riso quasi mai.»
«Insomma anche questo vicino carabiniere aveva ridipinto casa, proprio la settimana prima, quindi il nuovo arrivato decide di andare a chiedergli un consiglio.»
«E il vicino cosa risponde?»
«Gli dice “guarda, è facile, compra vernice per 85 metri quadrati”.»
«Questa storia sta diventando poco credibile.»
«Perché?»
«Due carabinieri di Bolzano probabilmente parlerebbero tedesco, o almeno avrebbero un po’ d’accento.»
«Sì ma loro si erano appena trasferiti, non so se ricorda.»
«Da un’altra città?»
«Sì.»
«E perché proprio a Bolzano?»
«Ma non lo so, perché a entrambi piace lo speck?»
«Guardi non mi prenda in giro. Qui sono io il carabiniere, quindi le domande le faccio io.»
«Scusi di nuovo, non volevo azzardare…»
«Ecco, non azzardi allora.»
«Sì… comunque… posso tornare alla storia?»
«Va bene, ma si sbrighi.»
«Il carabiniere quindi va a comprare la vernice, imbianca per bene tutta la casa solo che quando ha finito gli è avanzato un secchio pieno.»
«E come è possibile?»
«Infatti, anche lui non capisce. Quindi va dal vicino a bussare alla porta. Gli riferisce che gli è avanzato un secchio, e lui si mette le mani nei capelli, sconvolto, e dice “Incredibile! Ne era avanzato un secchio anche a me!”»
«L’ho capita.»
«Oh, bene!»
«Sì, questa storia dovrebbe far ridere perché secondo me avrebbero dovuto chiamare entrambi un imbianchino, che avrebbe fatto un lavoro migliore.»
«Beh, non è proprio questo il senso ma…»
«Eppoi la coincidenza era comunque strana. Un secchio preciso? A entrambi? Improbabile.»
«Sì ma…»
«Niente ma. Sinceramente speravo in qualcosa di meglio. Sono un po’ deluso.»
«Mi spiace.»
«Senta, ma almeno il caffé lo sa fare?»
«Certo! Abbiamo caffé espresso, lungo, ristretto, con panna, con cioccolato, macchiato, schiumato, turco, decaffeinato, shakerato, alla nocciola, al pistacchio, biologico, corretto, brasiliano, americano, ginseng, orzo e forse me ne sfugge uno, ce l’ho sulla punta della lingue, mannaggia…»
«Un caffé.»
«Sì glielo faccio subito.»

Il barista Mario si gira verso la sua fida macchinetta, deciso, visto che non è riuscito a far ridere il carabiniere con la sua storiella, quantomeno a proporgli il miglior caffé che abbia mai bevuto. Con cinque esperti movimenti prepara il tutto, nella tazzina più bella del locale. Poi lo porge al carabiniere Mario, soddisfattissimo.

«Voilà! Il suo caffè.»
«Molto bene. Lo zucchero?»
«Guardi noi siamo un locale un po’ vintage. Abbiamo lo zucchero in zollette.» E le mostra al cliente, tutto contento.
«Lo sa che le zollette sfuse sono fuorilegge nei locali pubblici dopo il decreto legislativo 51 del 20 Febbraio 2004?»
«Veramente?» Il barista Mario sbianca, temendo una multa e chissà, forse la chiusura del locale.
«Sì. Le consiglio di provvedere a mettersi in regola. Io per questa volta lascio stare perché dopotutto lei mi sta simpatico, non so perché. Ma la prossima volta potrebbe trovare un collega meno accomodante.»
«Oddio, mi scusi. Le giuro che non lo sapevo.»
«L’ignoranza della legge, caro il mio barman barzellettiere, non è una scusante.»
«No, mi scusi ancora. Lo so. Mi metterò subito in regola. Chiamo subito il mio collega e gli dico di comprare immediatamente le bustine.»
«Sarà meglio.»
«Spero almeno che il caffé le piaccia.»
«Lo spero anche io.»

Il carabiniere Mario guarda la tazzina. La solleva, la porta alle narici. Caffé buono, profumatissimo. Forse, dopotutto, questa piccola sosta porterà qualche beneficio a una giornata cominciata in maniera un po’ storta, con il bimbo che ha pianto per tutta la notte per le coliche e il cane che gli ha mangiato la ciabatta. Il carabiniere Mario guarda le zollette, ne prende una con l’apposito prendizollette e l’esamina, quasi divertito da questo relitto di un passato neanche così remoto, ma che fa fatica a ricordare. Quando era l’ultima volta che ha usato zucchero in zollette? Probabilmente almeno trenta anni prima, quando era bambino, forse in vacanza con la nonna. È passato davvero tanto tempo. Un giorno, chissà, diventerà nonno pure lui e darà zucchero in zollette ai nipotini prima di prenderli a ceffoni perché passano troppo tempo davanti alla Playstation mille. Un giorno. Certo. Ma ora, caffé. Avvicina la zolletta alla tazzina, vorrebbe depositarcela dolcemente ma un po’ esagera, e la lascia quando ancora si trova troppo in alto.

Splash.

3 thoughts on “Un carabiniere entra in un caffé”

  1. Molto molto bello, quotidiano e ben descritto.
    Amo le storie così.
    E questi due Mario sono proprio l’uno lo specchio dell’altro: due sfigati.

    Moz-

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