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Di statue, proteste e #blacklivesmatter

Quando qualche giorno fa i movimenti di protesta del Black Lives Matter hanno cominciato in tutto il mondo ad abbattere o deturpare statue, molti commentatori hanno condannato la cosa citando i Talebani che nel marzo del 2001 distrussero i due giganteschi Buddha di Bamiyan, patrimonio mondiale dell’umanità per l’Unesco. Le grida di allarme più comuni sono state “non si può distruggere l’arte”, “non si può cancellare la storia”, “basta con i vandalismi”. Eppure quando nel 2003 hanno fatto il giro del mondo le immagini del popolo inferocito che buttava giù la statua di Saddam Hussein in piazza Firdos a Baghdad, non ci sono stati scandali, ma solo applausi.

La nostra è una storia di cambiamenti, di evoluzioni e rivoluzioni, e abbattere una statua, cambiare il nome a una strada o a una città è spesso il primo passo simbolico per significare che qualcosa sta cambiando. Nell’est europeo e nei paesi dell’ex Unione Sovietica sono stati ormai abbattutti tutti i busti di Stalin e dei dittatori comunisti, in Germania nessuno rimpiange le immagini delle aquile imperiali abbattute dopo la caduta nel nazismo, in Italia non abbiamo per fortuna strade o piazze dedicate a Mussolini ma ancora c’è troppo silenzio, troppa reticenza nel ripensare la storia del nostro paese, anche da posizioni politiche insospettabili. E invece sono convinto che fare i conti con il nostro passato alla luce di quanto sappiamo ora, ammettere gli errori fatti, superare il dannoso stereotipo di “italiani brava gente” dovrebbe servire finalmente a farci crescere. Sono convinto che la protesta, #blacklivesmatter e non solo, vada supportata attivamente.

Bisognerebbe poi parlare di cosa va considerato arte e cosa no, ma questo sarebbe un altro discorso lungo e spinoso.

Ogni forte movimento di protesta porta inevitabilmente con sé la partecipazione di frange più estremiste e di altre che cavalcano l’onda con provocazioni e strumentalizzazioni. No, non penso che tutti coloro che sono scesi in piazza per settimane siano brave persone in grado di contribuire alla comunità, ma se si sostiene che un corpo dello stato non possa essere giudicato in toto per i comportamenti di alcuni suoi componenti (che sia negli USA per l’omicidio di George Floyd o in Italia per il G8 di Genova o l’omicidio di Stefano Cucchi), a maggior ragione non si può giudicare un movimento complesso prendendo a esempio le mele marce scese in piazza per razziare, provocare o deturpare le città. Da movimenti anche forti di protesta civile sono spesso nati mutamenti che hanno cambiato in meglio la nostra società: dai moti di Stonewall ai boicottaggi e alle marce della comunità afroamericana. Il messaggio che va colto è la spinta per una società più nuova, più aperta, sicura, libera e consapevole.

È vero che la storia non può essere cancellata, ma di sicuro può essere riletta. Possiamo guardare anche al nostro passato più recente e capire che certe cose non solo non sono più accettabili: non lo sono mai state. Dire che certi personaggi non meritavano venisse eretta in loro onore una statua non è censura, non si invoca la distruzione dell’arte ma proprio la sua contestualizzazione, e magari la ricollocazione in luoghi più adatti. Dire che alcuni monumenti starebbero meglio in un museo, dove l’onore si può trasformare in comprensione, ricordo e riflessione, non può essere uno scandalo. Se serve un secchio di vernice rosa lavabile o rossa per capirlo, evviva la vernice rosa!

3 thoughts on “Di statue, proteste e #blacklivesmatter”

  1. Per prima cosa, la Storia va letta. Poi riletta.
    Penso che ci sia una enorme differenza tra Saddam e Colombo, Churchill, Giulio Cesare e il resto delle revisioni che parte malata di questo movimento sta chiedendo.
    Coco Pops, addirittura. Film di Tarantino.
    Le cose vanno comprese, contestualizzate (e mai giustificate).
    In sostanza, qua la storia (o la storiella) la si vuole RIscrivere. Re Artù è diventato nero.

    Moz-

  2. Per contestualizzare la storia e rileggerla, servono pazienza e coraggio, secondo me.
    Pazienza di approfondire e ascoltare, scoprire e riscoprire testimonianze contrastanti, leggere le fonti e i saggi a loro volta frutto di studio paziente. Farsi un’opinione dei fatti storici e delle loro conseguenze non è qualcosa che si risolve rapidamente anzi, probabilmente non si risolve mai del tutto e questo rende la storia affascinante. Ma solo se non si è superficiali, altrimenti è fonte di ulteriore confusione.
    Coraggio, perché quando decidi di voler comprendere la storia e scopri che parla di te, non sempre è piacevole. Quando hai approfondito a sufficienza, diventa evidente che malgrado le tecnologie, le capacità artistiche, linguistiche, costruttive e organizzative differenti, nella sostanza siamo chi ci ha preceduto.
    Sono assolutamente solidale con chi manifesta nel movimento “black live matters” ma non credo che l’accanimento contro dei simboli sia sintomo di vero cambiamento. Imbrattare o rimuovere una statua, è abbastanza facile, frutto di un’interpretazione frettolosa e superficiale, ignorante. Rimuovere qualcosa che non si condivide, invece di affrontare il percorso che l’ha prodotta, non porta alcun contributo alla storia: per questo non si addice ad un movimento che la storia (nel campo dei diritti) la vuol fare.
    Per lo stesso criterio dalla faccia della terra dovrebbe sparire Auschwitz, ad esempio. Ma dimenticare non corrisponde ad assolversi. L’iconoclastia ha preteso a più riprese di azzerare la storia distruggendone i simboli. Esistono invece esempi anche recenti, anche vicini al popolo statunitense (penso a Martin Luther King), che non hanno promosso una lotta ai simboli, ma alle regole e ai limiti che rappresentano per la società. Spero che siano questi gli esempi che ispirano i manifestanti di oggi.

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