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Vanquished by a sorry Jawbone

Jawbone

Sono una persona semplice: datemi un film dove la gente (magari gente semplice e sconfitta dalla vita) si prende a pugni su un ring e sarò felice. Se poi il film è bello come Jawbone sono più felice ancora. Sigla!

Jimmy McCabe è un vecchio pugile inglese, uno che da giovanissimo era una promessa vera ma che quasi subito si è perso, tra incontri clandestini per tirar su due spiccioli e troppe bottiglie di gin. Oggi è poco più di un barbone, uno talmente convinto che la vita stia continuando a prenderlo a pugni che non si rende conto neppure che qualcuno sta tentando di aiutarlo. Il palazzo dove vive deve essere demolito, il Governo inglese gli propone delle sistemazioni alternative ma lui che fa? Le rifiuta tutte, convinto che sia un complotto ai suoi danni, e non contento da pure vita a una mezza rissa negli uffici, passa una notte in cella e quando esce trova la porta di casa sbarrata definitivamente. Che fare?

Jawbone

A scaldarlo resta solo l’alcool, ma quando non hai più neanche due spiccioli per una bottiglia di quello scadente e neppure per una telefonata non è facile pensare a una prossima mossa. L’unico porto sicuro a cui riesce a pensare è la vecchia palestra dove è cresciuto, l’uomo che gli ha insegnato a muoversi sul ring, l’allenatore che gli ha fatto dare i primi pugni. L’unica cosa che sa fare è lottare, l’unico modo che ha per mettere due soldi in tasca è ricominciare a farlo, rimettersi un minimo in forma non tanto per vincere, ma per fare dignitosamente la parte della vittima sacrificale contro un pugile più giovane, più grosso e più spietato di lui, uno che la gente paga per vedere massacrare di botte dei disperati come lui.

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Dubito che il prossimo incontro sia contro Mayweather

Jimmy McCabe è interpretato da Johnny Harris, uno di quegli attori inglesi che sembrano spuntare un po’ ovunque ma mai con parti da protagonista, e che ti impressionano ogni volta per come sembrano mettere loro stessi in ogni piccolo ruolo. Uno che la faccia piena di pugni ce l’ha davvero. Harris ha anche scritto il film, e deve aver sognato per anni di farlo, limando al meglio sceneggiatura e dialoghi e scegliendosi un regista con la giusta sensibilità e la giusta fame: Thomas Napper, una vita a dirigere seconde unità soprattutto per i film di Joe Wright e che aveva dimostrato di saper girare storie di vite ai margini della società con il premiato documentario Lost Angels: Skid Row is my Home. Napper è l’Avildsen per Harris/Stallone, ma non pensate che Jimmy McCabe possa essere scambiato per un nuovo Rocky. Hanno in comune il loro cominciare sempre da sfavoriti, oltreoceano li definirebbero underdog, ma i loro obiettivi finali non potrebbero essere più diversi. Rocky ha di fronte a sé la gloria, le grandi arene, la bandiera americana, l’amore di Adriana. McCabe pensa a una bistecca, una bottiglia, un tetto sopra la testa. Non c’è gloria in Jawbone, già la dignità appare quasi un miraggio.

Jawbone

Non vorreste anche voi un Ray Winstone che vi urla contro?

Jawbone è un film riuscito molto bene perché ha la misura giusta, ed ha scelto le persone giuste. Oltre al protagonista ci sono tre attori principali che anche con pochissime battute riescono a dominare la scena.

Ian McShane è il più famoso, per i suoi ruoli in Deadwood, ne i Pirati dei Caraibi, in American Gods e decine di altre pellicole a serie tv. Qui fa l’organizzatore di incontri clandestini, una figura che appare quasi diabolica (fosse stato un film americano ci avrebbero messo Ray Wise), pronto a comprarti per una bistecca e ad apparire persino sconvolto quando McCabe timidamente gli chiede se lotteranno coi guantoni e lui con gli occhi sembra rispondere “ma certo, non siamo mica dei barbari qui, santoddio!”

Jawbone

Wiliam Carney, il proprietario della palestra, è Ray Winstone, un altro che non ha bisogno di presentazioni e neppure di parlare molto. La scena del ritorno di McCabe allo Union Street Boxing Club è semplice, intensa, da manuale. Quando Jimmy apre la porta si leggono nei volti di tutti i presenti il disprezzo e la pietà per uno che ha buttato via la propria vita mentre gli altri cercano di cambiare la propria. Carney gli dice due frasi: se sento puzza di alcool sei fuori, se sento voci di incontri clandestini sei fuori. Ma nei suoi occhi è evidente che non esisterà mai un’ultima chance, perché per lui McCabe è ancora il ragazzo di cui concerva i ritagli dei giornali che parlavano delle sue vittorie.

L’allenatore Eddie, infine, è Michael Smiley, un altro che potrebbe recitare solo con gli occhi e farti credere a qualsiasi cosa. Il rapporto con il protagonista è se possibile ancora più stretto e sfaccettato di quello con Carney, senza bisogno di flashback o racconti si può intuire una sequela di delusioni e riavvicinamenti, una rabbia mal repressa per il male che ha fatto al loro mentore comune, la voglia di rivalsa che comunque non manca.

Jawbone

Oltre al cast perfetto, due cose non possono mancare in un film sulla boxe: il training montage e l’incontro. Jawbone ovviamente mette la spunta su entrambe le cose, e lo fa anche egregiamente, anche se in maniera diversa da come ci si potrebbe aspettare. Tutto è a immagine del protagonista. Rocky correva per le strade più povere di Phiadelphia ammirato dai propri concittadini sulle note di Gonna Fly Now, uno dei pezzi più epici e ispiratori a cui potete pensare, McCabe tiene i toni bassissimi, anche in palestra resta quasi in disparte accanto a ragazzini che hanno un terzo dei suoi anni, e la musica che l’accompagna è quella della colonna sonora di Paul Weller, che dai Jam e dagli Style Council è passato a comporre questi brani dai toni neri ed industrial.

L’incontro, poi, non ha niente di glorioso. È una rissa tra un giovane che mulina pugni duri come incudini e un vecchio leone che prova a mantenere il passo, ma poi è costretto a provare a tornare a boxare, come faceva in gioventù. La telecamera di Thomas Napper si avvicina ai due pugili e gira loro intorno, ma non è certo per riprendere un balletto elegante come quelli di Mohammed Alì. Alterna soggettive e inquadrature esterne, si muove dietro e sotto, avvolge l’azione. È una boxe primordiale che non ha ragione di esistere in un ring vero, ma che prospera in stanzoni pieni di gente che urla, fischia, vuole il sangue. Non c’è epica ma c’è molta etica, dentro il ring e ai suoi lati, nelle parole di Eddie che alla fine è lì, nonostante tutto.

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Se lo ammazzi fai pari

Non vi dico come finisce, chi vince, chi sopravvive. Vi dico solo che il finale è giusto, drammatico, senza gloria anch’esso. La seconda parte di Jawbone è eccellente, la prima soffre di qualche lungaggine, che serve però a definire bene il protagonista. Siete ancora qui? Correte a pescarlo! Titoli di coda dopo il voto.

4 thoughts on “Vanquished by a sorry Jawbone”

  1. “The Hitter” cazzo sei un genio! Ho pensato alla più banale “The Wrestler” ma questo pezzo di Bruce è anche più adatto! Ti ringrazio per l’illuminazione musicale e per la citazione, sono molto contento che il film ti sia piaciuto. Non inventa nulla ma fa tutto giusto le musiche di Paul Weller poi sono una marcia in più, spero che non rimanga l’unico film di box dell’anno, ma per ora rischia di essere uno dei titoli a sorpresa della stagione. Cheers!

    • Hai detto bene tu nella tua recensione, Paul Weller non è Bruce, ma… averne! Intanto ho già visto un altro film di boxe interessante (ma non allo stesso livello), e un altro è in rampa di lancio… ne riparleremo 🙂

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