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District 9 (Blomkamp, 2009)


Così nasce il film rivelazione del 2009: Peter Jackson aveva promesso a Blomkamp di fargli dirigere il film tratto dal noto videogioco Halo, ma il progetto per vari motivi è rimandato a data da destinarsi. Per non farlo rimanere immobile dice quindi al regista: “ti do un budget di 30 milioni di dollari, facci quello che vuoi!” E lui, riprendendo l’idea di un suo cortometraggio del 2005, c’ha fatto District 9.

La trama possiamo persino definirla secondaria: un astronave appare sopra i cieli di Johannesburg (e non di Tokyo o New York o Los Angeles!) e… si ferma lì. Dopo qualche comprensibile titubanza l’esercito sale a vedere cosa è successo e scopre nelle stive più di due milioni di alieni rinchiusi in condizioni disagiatissime, come se fossero degli esiliati per chissà quale motivo. Gli alieni vengono fatti scendere e rinchiusi in un vero e proprio ghetto a loro dedicato, il District 9. Qui la convivenza si dimostra praticamente impossibile, la delinquenza sale a livelli mai visti prima, la popolazione aumenta a dismisura e il tutto degenera. Qualche anno dopo il District 9 sta per esplodere, e le autorità preparano un trasferimento in massa nel District 10, appositamente studiato lontano dalle città dell’uomo… Le operazioni preliminari cominciano, ma qualcosa va subito storto, e l’uomo che ne è stato messo a capo viene investito da un getto di una strana sostanza nera, cominciando a mutare…

Nulla di particolarmente nuovo. Certi sviluppi del plot sono ampiamente pronosticabili fin dall’inizio mentre alcune svolte successive (che non svelo per non spoilerare) sono piuttosto forzate e non abbastanza spiegate. E allora come mai District 9 è il film rivelazione del 2009? Per tre motivi.

Il primo è allo stesso tempo importantissimo ma anche il più banale: dietro la pellicola c’è un chiaro messaggio, e non è un caso che il regista abbia ambientato il film nella sua patria, il Sudafrica. Nella sua giovinezza ci sono le tragedie dell’Apartheid, ed il Distretto 9 è una chiara metafora di quanto succedeva ai neri nel paese di Nelson Mandela. Blomkamp ci tiene e si vede, pur all’interno di un film solidamente di genere, e non è un caso che mai gli esseri umani, pur agendo spesso per motivi comprensibilissimi, siano figure simpatetiche, contrariamente ai “diversissimi” alieni.

Il secondo motivo è lo stile del regista. Raramente si vedono esordi così maturi, e Blomkamp si dimostra davvero capace di incanalare tutte le nuove tendenze narrative (stile “mockumentary”, riprese da telecamere di sicurezza, soggettive, parole in camera senza soluzione di continuità) in un percorso fluido e soprattutto al servizio della storia. Non un esercizio di stile fine a se stesso. Un film modernissimo che riesce a narrare una storia classica.

Il terzo motivo è l’attore principale… che non è un attore. Il protagonista Sharlto Copley è infatti un amico d’infanzia del regista che aveva recitato solo nel suo corto di partenza, ma che non ha assolutamente interesse a proseguire in questa carriera. Eppure è STRAORDINARIO, e bene ha fatto il regista ad insistere dicendogli che senza di lui il film non si sarebbe fatto. Presente sugli schermi quasi ininterrottamente, regge la tensione alla grande e soprattutto interpreta alla perfezione il piccolo burocrate esaltato da un compito più grande di lui e che si trova alle prese con un’impresa enorme per le sue potenzialità. Favoloso. Lui e… il suo accento, se avete modo guardatelo in lingua originale! Ne vale assolutamente la pena!

Il trailer italiano!

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