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Blood God – Blood is my trademark

Pare, si dice, si mormora, che in ambienti metallari questi Blood God vengano perculati e derisi per il loro atteggiamento da poser scazzoni. Laggente del metallo ride di loro e li indica dicendo “ahahah, siete dei mentecatti e il mondo ha una brutta impressione del metallo per colpa vostra! Ora vado a riascoltarmi Pleasure Slave dei Manowar o I Cum Blood dei Cannibal Corpse loro si che sono persone serie! Per fortuna ho abbandonato da molti anni il mondo dei metalloni integralisti, ora se vedo un gruppo di coglioni ricoperti di sangue, accompagnati da fiche gnude e che fanno le boccacce sul palco io rido ed applaudo. Sarò regredito?

I Blood God sono sostanzialmente i Debauchery, che sono sostanzialmente Thomas “the Bloodbeast” Gurrath, che più o meno in studio suona tutto o quasi da solo. La bestiasanguigna mi sta simpatica anche per la sua storia personale: Thomas era un insegnante di filosofia in un liceo di Stoccarda, ma la scuola, dopo aver saputo che per hobby si travestiva da macellaio malvagio e cantava oscenità ricoperto di sangue, gli ha intimato di scegliere tra il metallo e l’insegnamento, dicendo che le sue esibizioni sul palco erano “una forma di instabilità mentale che lo rendevano non sicuro quando stava tra i bambini”. Probabilmente c’avevano anche ragione. Fatto sta che Thomas ha scelto il metallo, e da un paio di anni ha raddoppiato: oltre al death metal ignorante con i Debauchery fa anche rock’n roll ignorante con i Blood God.

l’insegnante di filosofia che tutti vorremmo avere

Blood is my trademark è il loro secondo album, ed il primo che ascolto. Descriverlo è piuttosto semplice: una via di mezzo tra Ac/Dc (o forse sarebbe meglio dire Airbourne) e Accept, con una microspruzzatina di Judas Priest e death metal. Hard rock e semplice metallo classico frullati insieme e risputati addirittura semplificati. I testi sembrano scritti dai Manowar dopo una lobotomia, sostanzialmente i ritornelli non fanno altro che ripetere il titolo ventisette volte consecutive, e anche le strofe si compongono al massimo di sei parole, non troppo lunghe che sennò si fa fatica. Insomma, a metà canzone si può dire di averla già imparata a memoria.

Testi a parte, la musica è trascinante e scazzona quanto basta, i Blood God roccheggiano, ruttano e probabilmente si tromberebbero le vostre mamme (o figlie, o sorelle). Se ne può parlare male? Si, volendo, ma non sarò io a farlo. Il disco non è poi tutto sto granché ma continuerò ad ascoltarlo ed a ridacchiare come uno scemo. Il disco bonus con le stesse tracce rifatte col cantato stile Debauchery è inutile, lo potete buttare.
Voto: ** 1/2

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