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I consigli del rocker in pensione: TESLA – Simplicity

Il 99% dei ritorni in scena delle vecchie ciabatte del rock, ahimè, è merda. Semplicemente certi “artisti” dovrebbero capire quando è il momento di andare in pensione, dedicarsi ai nipotini o ai tornei di Burraco… ma il richiamo della nostalgia, specialmente negli ultimi anni, sembra irresistibile, così sembra che qualsiasi gruppo abbia scritto una benché minima hit negli anni 80 possa essere assunto a pietra miliare del rock e candidato ad un ruolo da headliner nei festival estivi.
I Tesla, a pensarci bene, avrebbero persino più diritto di altri. Primo perché ai bei tempi del roccherrolle loro erano davvero una band importante, capace di vendere 14 milioni di album prima che il grunge spazzasse via tutto. Secondo perché il disco della reunion non è di oggi, ma del 2004… e anche se l’ultima prova in studio prima di Simplicity è del 2008 i Tesla non hanno mai interrotto una proficua (e a quanto mi dicono convincente, non li ho mai visti) attività live. Ma a dire il vero i Tesla non mi avevano mai entusiasmato più di tanto, da ragazzotto ascoltavo cose diverse ed al massimo mi potevano sembrare dei Guns’n Roses meno alla moda, ed al massimo ricordo di avere visto qualche volta il video di Love Song, forse la loro canzone più famosa, che per me era anche una discreta palla.
Così ho scaricato comprato il nuovo Simplicity più mosso dalla curiosità che per altro. Un tentativo non si nega a nessuno, giusto? Messo il disco sul lettore, il primo impatto è stato “che cazzo è successo al cantante???”. Non ricordavo la voce di Jeff Keith così ruvida e graffiante. E le sonorità… li ricordavo più pop-metal, ma qui la direzione è decisamente hard rock!
Simplicity è probabilmente il titolo più adatto possibile per questo disco, un vero e proprio ritorno alle radici ed alle influenze del rock dei Tesla. Un disco che non picchia mai durissimo, ma che quando prova a farlo (Time Bomb, Flip Side!) si fa sentire con grinta e gusto, preferendo però la dimensione delle ballad (Honestly, splendida) o delle semi-ballad (So Divine, Burnout to Fade) in cui la band eccelle. Un ritorno alle radici, dicevamo, agli Aerosmith degli anni 70, a Black Sabbath, Led Zeppelin, Bad Company, persino Rolling Stones (ascoltate l’inizio di Break of Dawn), accompagnato però da una produzione davvero moderna e cristallina, capace di mettere in luce il groove del gruppo.
Parliamo dei difetti, che non si tratta certo di un disco perfetto: i filler, innanzitutto. Ci sono 14 brani più una bonus track, ma quattro di essi avrebbero potuto essere tranquillamente cassati. Meglio un gran disco di 40 minuti che uno di 60 che contiene brani noiosetti che skippo ad ogni ascolto (Life is a River, Till that day) e qualcun’altro che mi fa storcere un po’ il naso. Tra i quali, e questo è un secondo grande difetto, l’opener Mp3 che è rappresentativa del nuovo corso della band ma che non mi dice molto. Infine, probabilmente la voce alla cartavetrata di Keith non piacerà a tutti… a me si, ma io sono io.
In ogni modo, una gran bella sorpresa. Tra i Tesla, gli Europe e i Gotthard forse devo cominciare a ricredermi sui gruppi di vecchietti che fanno hard rock tradizionale 🙂
Voto: ***3/4
Il pezzo più rappresentativo del disco: Honestly!

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