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[Guest post] Berlinguer ti voglio bene – l’analisi di Riky

Il Bazar di Riky ha recentemente chiuso i battenti. Ed è un peccato per la blogosfera, perché Riccardo scrive bene, dimostrando intelligenza, animo gentile e la giusta attitudine geek. Il suo post di chiusura è molto bello ed è difficile confutare gli argomenti che porta; anzi, ne ammiro lo spirito e le intenzioni. Gli appassionati possono continuare a seguirlo sul suo nuovo blog sul calcio, ma ho come la sensazione che la voglia di scrivere d’altro non gli sia passata del tutto, visto che appena gli ho proposto di pubblicare sul Cumbrugliume qualsiasi cosa gli venisse in mente di scrivere mi ha inviato una bella analisi di uno dei film – mito della mia vita: Berlinguer ti voglio bene. Sono felicissimo di ospitarlo, e spero che non sia l’ultima volta! Spazio quindi a lui (mi sono scappate un paio di note, che spero mi perdonerà!), e se anche voi voleste seguire il suo esempio e pubblicare qualcosa sul Cumbrugliume scrivetemi pure all’indirizzo info@cumbrugliume.it !

Berlinguer ti voglio bene

Cult del 1977 che ha per protagonista Roberto Benigni, ben lontano dal personaggio attuale, colto cantore della Divina Commedia. “Berlinguer ti voglio bene” è un film infarcito di dialoghi da ‘toscanaccio’, un profluvio di parolacce ed espressioni scurrili, con pensieri al limite della blasfemia. Questo lo rende immediatamente irresistibile, ma è solo ciò che risulta più evidente al primo impatto. “Berlinguer ti voglio bene” va guardato almeno due volte, per coglierne l’essenza e i messaggi che vuole lasciare.

POLITICAMENTE SCORRETTO: oltre ai turpiloqui, al sesso e alle masturbazioni (comunque non c’è alcuna scena esplicita), uno dei momenti epici è quello del matrimonio combinato – dalle famiglie – tra Mario Cioni (il personaggio interpretato da Benigni) e la figlia del sig. Martini, una donna bruttina e zoppa. Matrimonio combinato nelle intenzioni, perché Cioni non ha assolutamente intenzione di sposarla e nell’incontro a due ridicolizza, in modo lento e crudele, la disabilità della donna. Lo spettatore ride senza compassione, ricordando anche le parole di disprezzo sul futuro sposo pronunciate dalla donna in un dialogo con il padre, al contrario scalpitante di poter liberarsi della figlia e di mettere le mani ‘idealmente’ sul patrimonio della famiglia Cioni. Una scena politicamente scorretta per mettere alla berlina i matrimoni di convenienza tanto in voga nel recente passato. 

(qui Benigni è proprio un burattino maligno, un Pinocchio che non ha molte speranze di diventare un bambino vero. Una scena quasi chapliniana nell’impostazione, Riky la definisce giustamente crudele… in maniera quasi inedita per Benigni, che sebbene agli esordi fosse molto più cattivo portava un’attitudine da giullare sregolato e spesso inconsapevole nei suoi ruoli – NdMichele)

Berlinguer ti voglio bene



IL RAPPORTO EDIPICO TRA CIONI E LA MADRE: è la chiave del film. Cioni disprezza a parole la madre, ma alla “fake news” sulla sua morte è sconvolto dal dolore. Verso la fine del film le chiede un bacino e quasi le strappa un bacio in bocca. La madre, perso il marito, rivolge le sue attenzioni soffocanti al figlio, non dandogli modo di crescere: come dice Bozzone, in sostanza la moglie ha sostituito il marito con il figlio. È un circolo vizioso, tanto più che la stessa madre di Cioni ha per il figlio parole di disprezzo, lo ritiene un inetto e gli fa pesare il fatto di essere rimasto in vita, diversamente dal marito e dall’altra figlia, deceduta a 4 anni di età. Tuttavia, come detto, l’incapacità di Cioni è una responsabilità anche dell’atteggiamento soffocante della madre.

(Meglio il puzzo di una mamma, che il profumo di nessuno! – NdM)

CIONI L’INETTO: la scena che balza all’occhio è quella in cui Mario ottiene un passaggio in auto dalle femministe dirette alla ‘Casa del Popolo’ per il dibattito sulla parità tra uomo e donna. Molto fine la critica alla donna femminista, così emancipata che non esita a dare il proprio numero di telefono al balbettante Cioni, un completo sconosciuto che potrebbe rivelarsi un maniaco. E questo è doppiamente curioso, perché sentendo i dialoghi di Cioni, lo si può bollare facilmente come un maniaco; invece, quando è solo con le due ragazze in auto, fatica a parlare, è quasi inerme. Ma non è una sorpresa: Cioni vive soffocato dal rapporto della madre e alla fine è incapace di avere rapporti sociali normali con le persone di sesso femminile. Così alla fine del film paga una prostituta per una fellatio, senza peraltro ricavarci piacere. È dunque caratterizzato da una sessualità adolescenziale: voyeurismo, dialoghi sboccati, ma alla prova pratica è in imbarazzo. L’inettitudine di Cioni non riguarda comunque solo la sfera sessuale, ma la piena incapacità di liberarsi dalle attenzioni materne, di avviare una vita, di badare responsabilmente a se stesso, tanto più che quando riceve la falsa notizia della morte della madre, bestemmia e rimane a dormire sotto un ponte. Inoltre è così inetto che lascia la madre nelle mani di Bozzone, che vuole avere un rapporto sessuale con lei per estinguere dei debiti del gioco del figlio. Chi venderebbe la propria madre per 4000 lire? È la parte più amara e crudele del film.

(il lato da folletto dispettoso di Benigni è evidente nel suo rapporto con il sesso – in tutti i suoi film, si pensi anche a Il Piccolo Diavolo o a Il Mostro. Il burattino può imitare o scimmiottare i comportamenti dell’uomo, ma alla resa dei conti non riuscirà mai a replicarli davvero. Una verità insieme tragica ed esilarante. NdM)

L’OMOSESSUALITA‘: al discorso del capoverso precedente si collega anche il dialogo con l’omosessuale del paese. L’omosessuale non soffre dei problemi dell’uomo moderno: è dileggiato, ma ha trovato il suo posto nel mondo, ha realizzato se stesso e la propria felicità, fa spallucce di fronte ai paesani che lo chiamano ‘signorina’. A Cioni gli dice che nel paese ci sono il prete, il matto e l’omosessuale, gli altri sono lì per fare numero. “Tu Mario, chi sei?”. Niente, Mario è un inetto e lo sappiamo. Ma il discorso del ‘bucio’ non vale solo per i perditempo come ‘Buio’ e ‘Ignorante’, gli amici del Cioni, ma anche magari per quelle famiglie in cui all’apparenza c’è felicità. Matrimoni in cui la felicità è stata accantonata per rispondere all’esigenza sociale di sposarsi e per ragioni di convenienza economica. Quante coppie sono nate così in quegli anni?

(lo sguardo tragico di Cioni che comprende di non avere un posto nel mondo e non riesce a guardare negli occhi il suo contraltare è perfetta espressione della maschera di Benigni. NdM)

IL CAMBIAMENTO DI BOZZONE E DIO: Bozzone costringe la madre del Cioni a un rapporto sessuale, ma quello che si prefigura come uno stupro diventa la chiave del cambiamento per entrambi. La madre riesce finalmente a liberarsi dalle catene che si era costruita: supera il lutto del marito morto, allenta la morsa sul figlio, si sente una donna, torna a lavarsi e pettinarsi. Bozzone lascia la sua condizione di ‘bifolco’: si veste bene, va alla Messa, vede la donna non più come un oggetto su cui scaricare i propri istinti sessuali, ma come una persona con cui condividere la propria vita. Cresce, in poche parole. La conversione a Dio? È semplicemente un pretesto per fare felice la propria donna, si evince benissimo dall’ultimo dialogo tra Cioni e Bozzone: lui crede a Dio perché la donna che ama è religiosa e vuole accontentarla. Curioso che esso sia seguito da un forte vento che fa sbattere le porte, come se Dio si ribellasse a Bozzone e alla sua conversione per interesse. E Cioni? Spettatore inerme prima, ma anche dopo, basti vedere gli inutili esercizi ginnici che fa nel suo cortile, un qualcosa di inutile, degno dell’inetto.

Berlinguer ti voglio bene



IL COMUNISMO: Bozzone è comunista, critica i padroni e vuole la rivoluzione. Bozzone è ateo, fermamente convinto: se Dio esistesse e incontrasse Bozzone, “passerebbe dei guai”. Bozzone non sembra inetto, idee e azioni coincidono (citando De André), infatti non esita a compiere quel turpe atto verso la madre di Cioni che aveva annunciato spavaldo allo stesso e ad agli amici. Dopo quel rapporto sessuale  però cambia radicalmente. Da comunista fervente diventa borghese, accetta le consuetudini, la Messa e il pranzo della domenica perché tutto ciò è funzionale al suo rapporto con la donna amata. Si è quindi ‘venduto’ per convenienza, in barba ai principi che seguiva. Cioni è anch’egli comunista. Per lui la rivoluzione è un qualcosa di innato all’uomo, come la prima polluzione notturna. Berlinguer è una figura idealizzata, forse a sostituire quel padre perso da bambino. Ma Cioni fa qualcosa? No, come detto, è inerme, inetto, subisce passivamente le situazioni. Chi è quindi il “peggior” comunista? Quello che tradisce l’ideologia per diventare un borghese, in base alle convenienze, o quello che di fronte ai cambiamenti, rimane se stesso, a costo di essere un inetto? E il comunismo è qualcosa di veramente concreto e realizzabile o resta un’utopia?

(c’è molto di una Toscana antica e rurale nel personaggio di Bozzone, e non a caso Carlo Monni è stato un vero protagonista della mia regione. Poeta e ubriacone, felice e disgraziato, amato e tormentato, una persona capace di conquistarti anche con le sue contraddizioni. Anche la questione politica è simbolo delle contraddizioni di un popolo – quello comunista e rurale – che voleva la rivolta dal basso ma cercava la guida di un uomo superiore. Un uomo nobile e popolano allo stesso tempo, carismatico e semplice come Enrico Berlinguer, del quale si aspetta solo il “via” per cominciare una rivoluzione che si sa bene non arriverà mai. Anche se a parole “il comunismo arriverà da solo”, come dice Cioni in un altro dei monologhi più folgoranti del film. NdMichele)

6 thoughts on “[Guest post] Berlinguer ti voglio bene – l’analisi di Riky”

  1. Un film che ho sempre apprezzato molto ben analizzato da Riky, con alcune tue pennellate a rendere l’analisi ancora più completa. Niente da dire, sono d’accordo con entrambi mi spiace per la chiusura del Bazar ma come hai ben detto, le motivazioni di Riky sono impeccabili. Proprio per questo, bellissimo guest post! Cheers

    • Grazie Cass! Certo che su questo film c’è molto da dire. Lo vidi da ragazzino e mi fece ridere per i turpiloqui. Da grande invece sono riuscito (spero e credo) a cogliere diverse sfumature interessanti 🙂

  2. Peraltro nella mia analisi non ho citato la splendida poesia di Bozzone, che è praticamente il momento clou del film.

    Grazie per aver pubblicato il mio scritto e grazie per le belle parole su di me <3

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