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The Handmaid’s Tale – stagione due

Ma quante critiche ha ricevuto la seconda stagione di The Handmaid’s Tale? La prima per me era stata forse la serie dell’anno, e i riconoscimenti ottenuti stanno a dimostrare che non sono stato il solo a pensarla così. Emmy, Golden Globe, Critics Choice Awards… Viene da pensare che la sempre più divisa e polemica America trumpiana aspettasse il suo ritorno pronta a puntare il dito. E in effetti ne ho lette di tutti i colori. Molte delle quali anche vere.

C’è chi sostiene che il mondo di The Handmaid’s Tale non sia credibile, che una già improbabile ascesa al potere sia stata poi descritta senza un minimo di realismo, che il regime di Gilead sia raffazzonato, poco chiaro, senza basi capaci di sostenerlo. Ed è vero; specialmente in questa seconda stagione (che va oltre quanto narrato dalla Atwood nel romanzo, anche se l’autrice è tra i produttori) il mondo di The Handmaid’s Tale si fa meno verosimile. I rapporti con gli altri stati in particolare sembrano davvero improbabili, così come lo “scandalo” che a un certo punto scoppia nei social media. Ciò che accade nelle case delle famiglie del regime sembra essere studiato nel dettaglio, quello che avviene fuori molto meno.

C’è chi sostiene che molti personaggi abbiano completamente perso il loro senso e siano messi lì come riempitivi, dimenticati fino a quando improvvisamente tornano di nuovo comodi. Il marito di June, Luke, e l’amica Moira sono due esempi perfetti. È verissimo che qualche trama viene un po’ persa per strada, probabilmente perché ritenuta poco interessante o significativa. E che gli uomini – in una società di uomini – restano sullo sfondo, deboli, vendicativi, spesso impacciati e sostenuti solo dalla forza dei numeri e del fanatismo.

Molti hanno detto che la seconda stagione è troppo violenta, che aggredisce lo spettatore e non lo lascia respirare, che abbia esagerata in una sorta di anti-exploitation che rischia di sortire l’effetto contrario Ed è vero, The Handmaid’s Tale colpisce durissimo. Molto più duramente che in passato. Non è tanto il sangue e nemmeno la violenza fisica (che credetemi, non mancano), quanto la ferocia psicologica dimostrata a più riprese, anche da personaggi che sembrano poter trovare una loro redenzione. Una violenza quasi insostenibile che il contesto prova a giustificare, ma che si spinge davvero ai limiti dell’eccesso.

Infine, il numero di episodi è stato aumentato dai 10 della prima serie a 13, e molti critici hanno sottolineato un allungamento del brodo, con un paio di puntate che avrebbero quasi potuto essere del tutto tagliate e qualche lungaggine poco efficace in vari momenti della stagione.

Onestamente concordo con tutte queste critiche… il fatto è che (riempitivi a parte) non me la sento di chiamarle difetti. Sembrano tutte scelte esplicite di una produzione che vuole urlare a gran voce che The Handmaid’s Tale è la serie politica del momento che stiamo vivendo, che non ha paura di prendere posizioni, che vuole usare toni forti (anche troppo forti se serve) per riuscire a fare arrivare a tutti il suo messaggio. Anche a chi fa finta di essere duro d’orecchi.

È una serie che ha in testa un obiettivo chiaro e che ha scelto di perseguirlo fino in fondo. È un invito a resistere, a non arrendersi. Non solo per le donne. È un invito a lottare per chi è più debole di noi, a prendere posizione, a rifiutare il silenzio, a odiare l’indifferenza.

C’è sempre più bisogno di militanza.

C’è sempre più bisogno di Offred.

C’è sempre più bisogno di The Handmaid’s Tale. 

4 thoughts on “The Handmaid’s Tale – stagione due”

  1. Il Cannibale Marco Goi su “Pensieri Cannibali” mi ha fatto riflettere che questa seconda stagione di “The Handmaid’s Tale”: Ha gli stessi difetti della seconda di “13 Reasons Why”, solo che io ho preferito Offred, lui i ragazzi di “Tredici”. Ci sta, almeno una scena è messa lì per darti un calcio in bocca fortissimo. Ma complice la scelta di quel pezzo di Bruce Springsteen (azzecatissimo a livello di testo) per me “The Handmaid’s Tale” è ancora la serie di cui abbiamo bisogno, non posso che essere super d’accordo con la tua esortazione finale, cinque alto! Cheers

    • Certe dinamiche sono comprensibili proprio perché gli autori hanno puntato a dare l’impatto maggiore possibile… e a ragione secondo me!

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